SI’: NO GRAZIE

Fanno ricorso dopo una bocciatura, contestano insegnanti e chiunque dubiti del proprio pargolo. Sono le mamma e i papà di oggi, iperprotettivi, ansiosi, sindacalisti dei propri ragazzi, che per questa ragione spesso crescono inetti, prepotenti e fragili.
La maggior parte dei genitori vorrebbe dire sempre sì ai propri figli, considerando queste due semplice lettere l’emblema dell’amore per eccellenza, proprio perché mossi dal desiderio di essere considerati dei bravi genitori.
“No”, infatti, è una piccola parola che può essere molto fastidiosa, tale da indurre i genitori che la adoperano a sentirsi quasi indegni perché non abbastanza bravi da gratificare i loro bambini in ogni occasione. Siamo di fronte ad una svolta socio-educativa con madri e padri poco disposti a vedere messo in discussione il proprio erede e disposti invece a tutto purché abbia lo stesso posto coperto in famiglia: di numero uno.

Ed è così che, davanti agli insuccessi scolastici del pargolo, i genitori addossano la colpa al sistema educativo istituzionale che non funziona, senza chiedersi piuttosto cosa motivi uno scarso rendimento. Ed è così che a bordo campo un padre litiga con l’allenatore perché ha lasciato il figlio in panchina, o una madre discute con l’insegnante di danza perché la figlia non ha avuto la parte principale all’interno del saggio di fine anno. Insomma ci sono sempre più insegnanti rassegnanti dinanzi alle polemiche e le pressioni che devono subire periodicamente e ci sono sempre più giovani ragazzi annoiati che non si impegnano più, perché in loro aiuto arrivano sempre mamma e papà.

Spesso siamo indotti a pensare, in vista del rigido e conformista immaginario collettivo, che i genitori siano due persone adulte, abbastanza razionali, autorevoli e anche severi, che col passare degli anni hanno acquisito tanta esperienza da divenire una coppia saggia, ragionevole e ricca di buon senso, che sa tutto meglio dei figli.
La verità è che ciascuno di loro ha una storia personale, ha vissuto delle esperienze uniche, positive e negative, ha avuto le proprie insoddisfazioni, frustrazioni, paure, i propri traumi e tanto altro. Col tempo hanno metabolizzato questo vissuto individuale che li ha portati a rapportarsi alla realtà genitoriale in un modo unico. Ed è per questo che nonostante l’amore autentico di un genitore verso un figlio, succede che l’espressione dell’affetto sia alterata dalla storia di ognuno.

Goethe diceva che la famiglia è come la rete del trapezista: sempre tesa per proteggere, in cui l’ascolto e la segretezza delle piccole confidenze diventano necessarie. Adattare i propri metodi educativi al prorompente desiderio di autonomia dei figli adolescenti può essere molto difficile ed è un’illusione poter affrontare i problemi senza muoversi dalle proprie convinzioni.
Amare vuol dire offrire al figlio ciò di cui ha realmente bisogno per condurre una vita buona. Ecco perché un “no” è spesso la risposta più amorevole che un figlio possa ricevere, benché richieda ai genitori sacrificio di sé stessi.

Insomma, l’importante è riuscire a trovare e valorizzare l’unicità di ognuno, accordandola con quella degli altri, perché l’indulgenza e il perdono non sempre sono un modo per compiacere i ragazzi. Tutto è più complicato di come appare ed è forse questo che rende affascinante e terribile il mestiere di genitori.

alessia  laterza

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