Abbiamo avuto l’occasione di incontrare e conoscere Paolo Panizza, regista teatrale di fama internazionale, sbarcato a Pavia per curare la produzione dell’opera lirica “L’italiana in Algeri” di Rossini, andata in scena lo scorso 15 e 17 novembre presso il Teatro Fraschini. Naturalmente non ci siamo fatti scappare l’opportunità per scambiare quattro chiacchiere e intervistarlo per voi.
Parliamo, innanzitutto, del lavoro che hai appena svolto qui a Pavia al Teatro Fraschini, un’opera che tu conosci molto bene e che hai già ripreso in passato. Raccontaci le peculiarità dello spettacolo.
«Lo spettacolo porta la firma di Pier Luigi Pizzi che ne ha curato regia, scene e costumi. Il mio compito qui è stato di “riprendere” la regia dello spettacolo adattandolo al nuovo cast. Il teatro ha la magia di rendere sempre nuovo un lavoro del passato proprio perché viene reinterpretato da attori diversi e si permea di nuove intenzioni che nascono da quest’interazione, sempre diversa e stimolante. Non a caso parlo di attori in un’opera lirica perché il genere “buffo”, in cui quest’opera s’inserisce come una delle più riuscite – Stendhal asserisce che sia in assoluto la migliore -, richiede oltre che doti vocali anche una grande capacità interpretativa. E’ una commedia messa su musica. E che musica!»
Rispetto alla produzione del 2002 – che già avevi seguito con successo qui a Pavia -, sono passati dieci anni, durante i quali il mondo è cambiato. Ritieni che sia cambiato anche il modo di rapportarsi allo spettacolo?
«Certamente sì. Sia da parte del pubblico che da parte di chi opera nel settore. Ci sono però degli allestimenti che oltrepassano le mode e i cambiamenti. Questo è uno di quelli perché nonostante abbia più di venti anni ancora mantiene la freschezza e la genialità dell’inizio. Significa in una parola che è diventato un “classico”, cioè una creazione che non teme i cambiamenti, ma porta a riflettere sull’attualità dello spettacolo ponendosi come pietra del paragone».
Un’opera comica, buffa e di tradizione, tuttavia non priva di allusioni al mondo reale e alla vita politica dell’epoca – come quella di Rossini – cosa può darci oggi? Possiamo fare nostre alcune idee rossiniane, per trarne quantomeno degli spunti di riflessione sulla società attuale?
«Sicuramente l’opera potrebbe porre degli spunti anche di attualità. In questo caso però Rossini è un rivoluzionario solo della componente musicale. Questo allestimento segue con eleganza “la follia organizzata” della sua musica, lasciando agli spettatori eventuali spunti e paragoni testuali sulla nostra epoca. Si potrebbe parlare di oriente e occidente, di religione, di femminismo ante litteram, ma… forse è meglio travalicare in questo caso per godersi soprattutto la gioia che la musica di Rossini riesce a trasmettere».
Perché un giovane, oggi, dovrebbe andare a vedere un’opera lirica?
«Perché è un patrimonio della nostra cultura come il Colosseo, gli Uffizi o… la Ferrari! Poi dovrebbe vedere l’opera lirica per capire che è il genere di spettacolo più complesso che ci sia. Certo costa qualche sforzo in più rispetto ad altri generi, ma garantisco che le soddisfazioni possono essere incredibili. Conosco molti giovani che dopo aver visto un’opera lirica si sono appassionati al genere. Io sono uno di questi e ne ho fatto il lavoro della mia vita».
Ne “L’italiana in Algeri” hai fatto un lavoro di ripresa registica, tu però firmi anche molti spettacoli, parlaci delle tue idee registiche nel mondo della lirica e dei tuoi prossimi impegni.
«La mia idea registica è molto semplice: abbandonarmi alla musica. Quando penso a uno spettacolo lo faccio in cuffia: cerco nella musica le idee, le immagini e i contenuti da esprimere. Poi applico le conoscenze tecniche e il budget disponibile alla mia idea. Sono abbastanza eclettico e faccio spettacoli anche molto diversi tra loro proprio perché i compositori e le epoche sono diverse, così come i libretti e i contenuti. Di mio non amo tradire il compositore per usarne la musica solo come colonna sonora di miei gusti personali, ma amo essere innovativo nel rispetto dell’opera che è stata composta. I miei prossimi impegni sono una Madama Butterfly, un Don Pasquale e una Turandot. Due Puccini e un Donizetti».
Pavia dieci anni fa, Pavia oggi. Hai trovato una città cambiata? È una città che ti ha lasciato qualcosa?
«È una città che mi piace molto. Io sono di Verona e amo la provincia, nel bene e nel male. Quando torno in qualche luogo a distanza di anni riesco a cogliere però solo i cambiamenti superficiali perché mi fermo troppo poco per approfondirne quelli strutturali. Certo per me Pavia è solo legata a ricordi molto belli, quindi… tornerò».
In conclusione, ti chiedo di regalare ai giovani alcuni consigli: come imparare ad apprezzare il teatro, un libro che andrebbe assolutamente letto, una canzone che andrebbe assolutamente ascoltata e uno spettacolo che andrebbe assolutamente visto.
«Che compito difficile! Secondo me il miglior modo per apprezzare il teatro è farlo. Ci sono tanti modi, dai vari corsi anche di breve durata, al volontariato, alla compagnie non professioniste… E poi frequentare i teatri, vedere più spettacoli per crearsi una propria opinione. Il teatro è un archetipo e nessuna tecnologia lo può scalzare, ma solo integrare. Un libro? Ne ho tanti sul comodino… Di teatro direi la “Storia del teatro drammatico” di Silvio D’Amico, non di teatro… L’Ombra del vento di Zafon. Una canzone… Hanno scritto altre canzoni dopo quelle dei Queen? Uno spettacolo che andrebbe sicuramente visto è Rumori fuori scena di Michael Frayn, in un allestimento all’altezza. Credo che sia la commedia più geniale che sia mai stata scritta. C’è anche un film di Bogdanovich del 1992 con Michael Caine, imperdibile».
jacopo brusa
ulteriori informazioni: www.paolopanizza.net
Le fotografie sono di Giulia Mameli – Facebook: Giulia Mameli Photography: CLICCA QUI PER VEDERE TUTTE LE FOTO