di Lorenzo Meazza
Può una verità talmente ovvia da essere scontata, quasi banale, tramutarsi in un vero paradosso? Certo, in Italia. «La fuga dei cervelli? Si ferma con la meritocrazia», ha sostenuto oggi sulle pagine del blog del Corriere della Sera in tema di meritocrazia il suo curatore, Roger Abravanel, uno di quei manager italiani che si sono fatti da sé. Asserto del tutto condivisibile, lampante verità, ma purtroppo truce utopia nella nostra italietta di oggi. Non state leggendo lo sfogo di un anti nazionalista o del solito individuo privo di qualsiasi sentimento di appartenenza al Belpaese (anche G. G. non si sentiva italiano, perché io non potrei?), ma di un giovane come voi, che spende qualche momento per analizzare un nostro spaccato di presente. Come convincere oggi un giovane di talento a non portare le proprie risorse in un altro paese, più pronto a scommetterci sopra, sottraendole così all’Italia? Facile: evitare, in primis, che veda per anni soffocate le proprie ambizioni, sperduto in un mare chiamato precariato e sfruttamento; inoltre, far sì che possa nutrire queste aspirazioni con la consapevolezza che col lavoro, con la capacità, con l’iniziativa possa, in futuro, vedersi premiati gli sforzi senza venire scavalcato non da chi sia in possesso di doti superiori, ma dall’amico, fratello, parente di qualcuno (oggi possiamo aggiungere anche da quella bella gnocca che chissà che avrà fatto per quel posto…). Ricettacolo di ovvietà? Luoghi comuni snocciolati alla spicciolata? Certo, ma non venite più a sbandierare alla mia porta la parola meritocrazia senza che sia seguita da un passo in avanti concreto in questo senso. Almeno non prendeteci in giro!