di Simone Eterno – tratto da Uau Magazine aprile 2011
La notizia è questa: una delle più grandi multinazionali del cd ha recentemente acquistato la più prestigiosa ed importante etichetta discografica che stampa dischi su vinile. Le cose sono due: o qualcuno ai piani alti è impazzito, o i morti resuscitano. O, pardon, c’è una terza opzione: il “cadavere” non è mai esistito! Sì sì, stiamo parlando del mitico ed immortale, passatemelo, disco in vinile. Roba da vecchi, si diceva una volta, roba da DJ, si è detto per qualche anno (mai trovato uno qui in Italia che pompasse roba su 33 giri). Roba che ti deve piacere la musica, si permette di pontificare oggi il sottoscritto.
Se conoscete il supporto, certamente sapete di cosa sto parlando, ma se siete troppo giovani o non vi è mai passata per la testa la cosa, permettetemi di chiarivi la questione. Si perché volete mettere la differenza e il calore del suono di un prodotto di infinita ingegneria dove un diamante, collegato ad un magnete o ad una bobina, “danza” con oscillazioni tra i solchi all’interno del disco riproducendo un segnale elettrico che verrà amplificato e riconvertito in suono? Suona bene già soltanto a descriverlo, figuratevi quando ne sentirete le note… La triste freddezza di una sequenza di numeri contenuta in un file che è stata convertita grazie a un algoritmo Mpeg1-Layer3, se paragonata anche solo a parole, diventa imbarazzante. Non scherziamo, l’mp3 è comodo, ma la musica è tutta un’altra cosa. Ed è proprio per questo che il vinile e la sua qualità sonora, dati per morti da una vita, sono di fatto sopravvissuti ad un’infinità di cambi generazionali e oggi ritornano di prepotenza. Nastri magnetici di ogni tipo, minidisc, il mitico CD che 28 anni fa Sony e Philips ci avevano spacciato come il supporto perfetto ed eterno se ne sono andati. E chi è rimasto? Lui, il vecchio vinile. Manco fosse un politico italiano è rimasto attaccato alla poltrona e ad oggi è il vero sopravvissuto nella rivoluzione della cosiddetta musica liquida. Sì perché in un mondo che ormai parla solo in digitale, i dati di vendita di dischi in vinile che ci passa il Los Angeles Times sono un’autentica notizia. Nel 2009, infatti, il 33 giri ha toccato quota 2,9 milioni di copie vendute aumentando di circa il 50% il dato dell’anno precedente negli States. Non male per uno che doveva essere morto.
Certo, inutile ingannarsi, ci troviamo sempre di fronte a un prodotto di nicchia. Soprattutto in un momento in cui a noi giovani ‘di cash’ ne gira pochino. I costi non indifferenti di un impianto che come minimo deve esser composto da giradischi – braccio e puntina, padron, fonorivelatore, sono la parte più importante, ricordatevelo – amplificatore e casse acustiche in pochi se lo possono permettere.Ecco perché vi esorto ad andare nelle cantine, a recuperare tutto il recuperabile del vecchio impianto di papà e provare a ripartire da quello. Oppure, a fare della gran colletta e concedervi il vostro primo impianto. Fidatevi, almeno in casa finirete con l’archiviare quel triste tasto play del computer per riscoprire la gioia dell’abbassare il braccio sul disco. E sarà in quel momento che vi accorgerete come sia più bello degustare Amarone, dopo aver bevuto per una vita San Crispino in cartone.