PUO’ UN TRIBUNALE DI UNO STATO DEMOCRATICO MANDARE AL ROGO UN LIBRO?

 

Al rogo, al rogo! È sempre piuttosto triste quando si incita tale grida contro dei libri. No ragazzi, non stiamo parlando del parroco e del barbiere che hanno dato fuoco ai romanzi cavallereschi della biblioteca di Don Chisciotte, sperando di farlo così desistere dalle sue scellerate imprese; non si tratta nemmeno della nostra cara Chiesa, che fin dalle sue origini si curò bene di specificare quali testi fossero eretici e perciò solo condannati alle fiamme, per poi sbizzarrirsi con l’Index librorum prohibitorum (indice dei libri proibiti), istituito nel XVI secolo e soppresso solo nel 1966!!! Nemmeno del Bücherverbrennung nazista del 1933 o della pratica comune dei vigili del fuoco in Fahrenhait 451, specificatamente deputati a cacciare e bruciare libri.

Questa volta il fiero proclamatore di tale bestemmia – perché così dovrebbe suonare alle orecchie dei difensori della libertà di opinione o dei paladini dell’art. 21 della nostra Costituzione – non è altro che il Tribunale di Milano. I giudici milanesi hanno infatti condannato al macero, al ritiro dal mercato e al divieto di reiterare la pubblicazione e diffondere gli scritti di un libro! In barba alla libertà di stampa e sul modello di un attento regime, pronto a sguinzagliare la propria magistratura per cucire la bocca agli avversari. L’opera mandata al rogo è “Falce e Carrello”, libro denuncia di Bernardo Caprotti, proprietario di Esselunga, contro le vessazioni e le gravissime scorrettezze commerciali e non, subite dalla amministrazioni “rosse” per evitare una sua espansione e favorire l’egemonia delle Coop. Tale saggio – che invito tutti a leggere: in prestito da un amico, o in qualche libreria o biblioteca non ancora adeguatasi al mostruoso diktat, oppure anche su uno dei numerosi link dove è spuntato a seguito della sentenza – illustra in maniera pacata e mite, senza mai trascendere dalla narrazione dei fatti e allegando numerosi documenti, una situazione perdurante da ormai svariati decenni nel nostro Belpaese.

Il Tribunale di Milano, però, a seguito di un ricorso della Coop, ha ravvisato nel pamphlet di Carpotti un «illecita concorrenza per denigrazione ai danni di Coop Italia» e ha, perciò, condannato Esselunga al risarcimento di 300.000 euro. Ma, invece di stabilire che fossero emendate le prossime edizioni e corretti gli eventuali errori, come sarebbe stato possibile e sicuramente più lecito, ecco scattare la messa al macero. Ancora una volta, come già denunciato in occasione dell’incredibile sciopero imposto al Corriere della Sera dalla Camusso, i sedicenti acerrimi nemici di ogni bavaglio o censura, lungi dallo scendere a manifestare in piazza, non hanno nemmeno sommessamente denunciato la cosa, connotando nuovamente di un colore e una faziosità specifici i loro ideali.

Riprendendo il titolo del pezzo, dunque, secondo voi può un tribunale di uno Stato democratico mandare al rogo un libro? A quanto pare la risposta è sì, oppure bisogna iniziare a dubitare della libertà di quel paese?

Dal canto suo Caprotti, dall’alto della sua educazione ottocentesca, risponde così al Corriere della sera.

  1 comment for “PUO’ UN TRIBUNALE DI UNO STATO DEMOCRATICO MANDARE AL ROGO UN LIBRO?

  1. giuse cinetto
    21 settembre 2011 at 15:37

    Apprezzo molto questo articolo; per me i libri sono come il pane: non si buttano mai.

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