Stamattina mi hanno svegliata dolcemente i raggi del sole, bussando alle finestre della mia stanza ed il mio coniglietto che, particolarmente contento per la bella giornata, ha iniziato a correre, a scivolare e a sbattere ovunque. Una volta vestita, sono andata in una delle cucine a prepararmi un tè. Le stanze comuni erano già piene: la giornata era iniziata per tanti già da un po’, altri invece dormiranno fino a tardi per riprendersi dai soliti e ripetitivi festeggiamenti del weekend.È un mondo a parte quello della Gästehaus; 300 persone provenienti da ogni lato del mondo, che si sono incontrate qui a Friburgo in Brisgovia, nel mezzo della fin troppo umida Schwarzwald, per condividere lo stesso obiettivo: imparare il tedesco.
È incredibile quanto diverse possano essere le motivazioni che ti portano a desiderare di imparare questa lingua, che tutto sommato è parlata solo qui in Germania. C’è la giapponese Hideko, per esempio, che è insegnante di musica a Tokyo e vorrebbe riuscire a cantare e a capire un po’ meglio la lirica tedesca; Tiffany, l’assistente bibliotecaria taiwanese, che vorrebbe leggere qualche libro in tedesco; la spagnola Eva, che si prepara ad un prossimo Erasmus; i tanti messicani Fernando, Daniel, Andreas, Ivanna… che vorrebbero studiare ingegneria e poi lavorare in una delle tante ditte tedesche del loro Paese. E io invece perché sono qui? Mark, l’ingegnere australiano che impara il tedesco per hobby, ogni volta che si trova seduto al mio stesso tavolo, mi fa sempre la stessa domanda: «Bea, bist du Ärztin???». Non ci vuole proprio credere, ma è proprio così: sono medico, come lo siamo in molti qui: Matteo, Pedra, Samy, Mahmoud, Maria ed altri ancora.
Studentessa di medicina a Pavia, a 24 anni mi sono laureata e un anno esatto fa stavo frequentando il tirocinio obbligatorio per l’Esame di Stato. Appena iscritta all’Ordine dei Medici, mi sono subito buttata nel mondo del lavoro e intanto ho continuato a frequentare e studiare per realizzare il sogno di tutti i neolaureati in medicina: entrare in specialità. Io me l’ero detto: «Se mi capita una domanda impossibile, è un segno del destino». La domanda impossibile è arrivata, in specialità non sono entrata, ma, mentre tutte le mie compagne piangevano, io ero l’unica che finalmente non si sentiva più in trappola. «Parto per la Germania» ho detto a tutti. «Bea, non sapevo che sapessi il tedesco» «Ma io, infatti, il tedesco non lo so» «Tu sei pazza» «Forse». Ma è la Germania attualmente il Paese europeo dove i giovani medici vengono accolti a braccia aperte.
Sono già tre mesi che sono qui, 5 ore di lezione tutte le mattine, compiti al pomeriggio, un compito in classe alla settimana (sembra di essere al liceo!). Inizio solo adesso a sfogliare qualche rivista, a tradurre molto lentamente qualche libro, a cantare delle canzoni e a guardare qualche film sottotitolato. È una lingua che ha bisogno di tanta pazienza e tanto impegno, ma che regala delle belle soddisfazioni. Il mondo medico in questi tre mesi l’ho messo in un angolo: ho provato a presentarmi in qualche clinica, ma tutti preferiscono aspettare che tu abbia almeno in mano un certificato B1. Tutto sommato, come dargli torto: in un ospedale la comunicazione è fondamentale. A fine mese, però, avrò il mio primo importante colloquio, probabilmente il primo di una lunga lista, quella lunga lista che in Italia non avrei mai avuto, quelle mille possibilità che per un giovane nel nostro Bel Paese non esistono.
I miei amici mi chiedono come sto: sto bene, certo. Conosco un sacco di persone, viaggio quasi tutti i weekend alla scoperta di questa nordica Germania, le giornate scorrono senza che me ne accorga. Ma vorrei chiedere un favore a tutti voi: la prossima volta che vi siederete a tavola con la vostra famiglia, che mangerete le lasagne fatte dalla vostra mamma o la polenta fatta dal vostro papà e che litigherete con vostro fratello per l’ultima porzione, pensate a me e a tutti i ragazzi che hanno deciso di allontanarsi anche solo momentaneamente dalla loro casa e a quanto questa felicità familiare manchi a tutti noi.
viele grüße aus Freiburg
beatrice cattrini