JUNK SPACE CHRISTMAS – VIAGGIO NELLA PAVIA PERIFERICA E NATALIZIA

11 Gennaio, il Natale è scivolato via, ci rimarrebbe solo uno sbiadito ricordo, se non ci fosse  il reportage fotografico sul junk space natalizio a rinnovarlo, saturandone i colori fino all’eccesso. Il junk space natalizio di giorno è rattrappito, invisibile, ma quando cala la luce del sole comincia a risplendere, innaturale e brulicante. L’addobbo è lo strumento che lo nutre. Gli addobbi di Natale rappresentano uno dei punti più alti del manifestarsi del junk space, infatti ne sono un concentrato, amplificano le sue contraddizioni, la sua ripetitività. I più rumorosi sono generalmente quelli presenti nelle rotatorie stradali, nelle concessionarie, nei grandi centri commerciali: l’addobbo frenetico è humus per l’acquisto compulsivo. Più sinceri e forse più malinconici gli striminziti addobbi di case, scuole, giardini. Ma la matrice è comune. In tutti i casi l’assenza di una progettazione lucida e razionale si mescola ad episodi di inattese perfezioni geometriche, a modularità celate, a delicate architetture che si assiepano, parassite, sopra i più anonimi tra i capannoni industriali. Si materializza un mondo padroneggiato dall’invenzione, in cui tutti sono architetti, tutto è terreno fertile per l’addobbo, ogni cosa si presta alla trasformazione: l’altissimo lampione del centro commerciale, nel corso dell’anno totalmente estraneo alle vicende umane, diviene durante il Natale il più sgargiante degli alberi ed insieme agli altri suoi simili genera una preoccupante foresta di luce. Ogni ringhiera si trova ad ospitare un affaticato babbo natale intento in risalite infinite; le pensiline, le grondaie e le insegne vengono stritolate da minuziosi anelli luminosi. Le chiome degli alberi, quelli veri, vengono private della forma da nervose spirali luminose, mentre un secondo misterioso cielo, probabilmente schiantatosi contro una selva di pizzerie e distributori della benzina, si illumina, poco convinto, di stelle cadenti.

Ogni luogo muta nelle proporzioni, ogni oggetto è reso irriconoscibile? Il percorso diventa allucinato ed incerto? È Junk. È  il Junk Space.

intro di Ruggero Pedrini

il blog del progetto:

www.junkspacepavia.tumblr.com

«Il Junkspace […] confonde l’intenzione con la realizzazione, sostituisce la gerarchia con l’accumulo e la composizione con l’addizione». 

«Il Junkspace è al di là di ogni misura, di ogni codice… Poiché non può essere afferrato, non può essere neppure ricordato. Il Junkspace è sgargiante ma non memorabile, come uno screensaver; il suo rifiuto ad irrigidirsi garantisce un amnesia istantanea».

Junkspace, Rem Koolhaas

foto di Simone Ludovico

«Il Junkspace non aspira a creare perfezione, solo interesse».

«Le polarità si sono fuse, tra la desolazione e l’esaltazione non è rimasto nulla». Junkspace, Rem Koolhaas

foto di Ruggero Pedrini

«Il Junkspace può essere o assolutamente caotico o spaventosamente asettico – come un best seller – sovradeterminato e indeterminato allo stesso tempo».

«L’iconografia del Junkspace è per il 13% romana, per l’8% Bauhaus, per il 7% Disney (testa a testa), per il 3% Art Nouveau, seguito a poca distanza dai Maya».

 Junkspace, Rem Koolhaas

foto di Pablo Colturi

«Il Junkspace è com’essere condannati a un bagno perpetuo in una Jacuzzi con milioni dei tuoi migliori amici».

«Il Junkspace è la nostra tomba». Junkspace, Rem Koolhaas

foto di Massimo Toesca

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