DIARIO DI UNA CRISI. DALLA SICILIA A REGGIO CALABRIA

Terminologicamente parlando, crisi è un cambiamento traumatico, una situazione sociale instabile e pericolosa. Ma crisi, a dispetto di ciò che la realtà odierna rispecchia nel suo significato dispregiativo, non è solo questo. Crisi significa anche scelta. Le popolazioni antiche descrivevano il caos, appunto crisi, come una somma di fenomeni che divenivano il mezzo per dar spazio all’ordine. Oggi la crisi è solo caos senza scelta, men che meno l’utopica possibilità di poterla fare. Ci troviamo a fronteggiare affannosamente una crisi voluta e creata artificiosamente da personaggi e autorità politiche che si preoccupano di alimentare il gossip, piuttosto che proteggere e mantenere una società, in cui esercitare e godere dei propri diritti facenti capo ad ogni singolo cittadino non sia solo una vaga speranza.

Dovremmo essere liberi. Una libertà sancita e riconosciuta costituzionalmente; tuttavia le autorità si preoccupano di modificare la Costituzione piuttosto che attuarla. Mentre la crisi si espande in tutta la penisola, come un fiume che ha rotto gli argini ormai da tempo e che, nonostante gli eventi prodromici, che si erano manifestati palesemente per una possibile causa, i governanti elemosinavano consensi da un popolo stanco, ma ancora cieco per vedere la realtà, salvando gli argini con piccoli chiodi, piuttosto che dar da bere al popolo.

Il meridione, già affogato nella sua crisi storica, risalente all’unità d’Italia, che tutto ha fatto tranne che unire, ha risentito ulteriormente del boom inflazionistico, pregiudicando l’incolumità del popolo calabrese. I tir scioperano a causa del gasolio in aumento, le merci non arrivano e il popolo chiede aiuto ad un governo cieco e sordo, che possiede solo le parole utilizzate per incrementare ulteriormente le tasse. La percentuale minoritaria dei cittadini che possiedono un’occupazione, rischia di perderla in quanto si trova nell’impossibilità di usufruire dei trasporti urbani meno della propria utilitaria; le scuole, invece, dimezzano i propri alunni, perché i genitori non possono accompagnarli a lezione.

Crisi è sinonimo di dinamismo, ma in questo caso ha reso statica una città intera, e non per propria volontà. Una città ancora in attesa di un governo che dia le opportunità di scelta. Se è vero che la storia è ciclica, una spedizione dei Mille non sarebbe bastata a fare questa rivoluzione, tuttavia ci potranno tornare utili le parole di Garibaldi se non altro per mantenere alta la voglia di crederci e lottare per un’Italia unita, ma prima di tutto sana: «La patria non si vende e non si baratta», dando del canaglia a Cavour e rimpiangendo di non aver protestato in parlamento  quando questi voleva rinunziarvi. Oggi, rivolgendoci a questo governo, Garibaldi sarebbe rimasto in silenzio? Pertanto, visto che la storia insegna, quanto ancora dovremmo imparare prima di concretizzare?

francesca polimeni

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