INTERVISTA A DANILO GALLINARI

da UAU magazine, maggio 2012

Non più solo mafia, pizza e mandolino. Da qualche anno a questa parte, quando in America si pensa all’Italia, la prima cosa che salta alla mente è una sola: Danilo Gallinari – storpiando inevitabilmente le vocali con accento made in USA! Figlio d’arte (il padre Vittorio è stato uno dei pilastri nei successi della mitica Billy Milano di coach Dan Peterson, prima di giocare una stagione a Pavia) stella dei Denver Nuggets in Nba, il maggior campionato cestistico Nazionale, il “Gallo” non ha certo bisogno di presentazioni negli States e nemmeno in Italia. Oltre ai successi sportivi, però, Danilo è riuscito a mantenere quella faccia pulita ed educata del bravo ragazzo e a portare negli USA un’immagine dell’italiano all’estero decisamente positiva e di riferimento. Prima di giocare alla corte di Giorgio Armani a Milano e sbarcare ai New York Knicks e poi in Colorado, il numero 8 della Nazionale italiana di pallacanestro ha anche disputato a soli 17 anni una stagione alla corte dell’Edimes Pavia, nella quale ha vinto il titolo di miglior giocatore italiano della LegaDue e assaporato un pizzico di pavesità. 

Partiamo da qui, Danilo, raccontaci la tua parentesi a Pavia:

«Ricordo davvero con piacere la mia esperienza pavese. È stata molto positiva: tra gli studi, il mio quarto anno di liceo, la mia prima esperienza in A2 e lontano da casa, anche se quel brutto infortunio a metà stagione si è messo un po’ in mezzo».

Dalle sponde del Ticino fino alle Rocky Mountains di Denver… Qualche flash rimasto nella tua mente delle tue tappe cestistiche.

Pavia: «Gli anni del Liceo Copernico e il PalaTreves».

Milano: «Lo sport: il Milan e l’Olimpia Milano».

New York: «Una città che vive davvero 24 ore su 24 e l’esperienza ai Knicks».

Denver: «L’altitudine, la serenità e i Nuggets».

Com’è stato catapultarsi non ancora 20enne in una città come New York?

«È davvero una città incredibile, la più bella degli Stati Uniti e credo che sia il posto migliore al mondo per un giovane. Viverci è stato davvero incredibile».

In poco tempo, dai fischi dei tifosi newyorkesi del “Madison Square Garden” al draft Nba, sei passato a essere prima una star ai Knicks e poi un vero fenomeno Nba, tanto da meritare la menzione d’onore addirittura da parte di Barack Obama…

«È stato davvero un grandissimo piacere e onore. Ma tutto quello che ho ottenuto non è stato il frutto del caso. So bene quello che ho fatto per arrivare a questo livello e non è stato certo facile».

E ora c’è da pensare alla stagione in corso, cosa ci dovremo aspettare?

«Con i miei Nuggets mi auguro di fare più strada possibile nei play offs, mentre l’anello se lo giocheranno i Miami Heats di Wade e James e gli Oklahoma City Thunders di Durant».

Tra una trasferta da una parte all’altra dell’America, ami invece restare a contatto coi tuoi fan tramite Twitter e Facebook…

«Sono due bei network, una cosa molto simpatica da fare; tra i due scelgo Twitter, che negli Stati Uniti usano tutti e piace tanto anche a me».

Dopo quasi quattro anni negli States – ma sempre con un occhio rivolto sull’Italia – ti sarai sicuramente fatto un’idea delle difformità nella società tra i giovani da una parte all’altra dell’Oceano Atlantico…

«Oggi posso notare la netta differenza tra un ragazzo che vive in Italia e uno negli States. I giovani americani stanno meglio e il primo motivo a mio avviso è costituito dai college. Anche nel mondo del lavoro la situazione cambia, è come se il 30enne italiano sia il 25enne negli USA».

Oltre che con la palla a spicchi, ci sai fare anche con la penna – o meglio, con tastiera e pc – e dallo scorso gennaio hai aperto il blog “Time Out” sul sito del Corriere della Sera.

«È stato davvero un onore questa proposta di RCS. Per me è un’esperienza bellissima e una grande opportunità e spero di scrivere cose simpatiche e divertenti e che suscitino interesse in tutti i lettori».

 lorenzo meazza

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