Nonostante la sua giovane età, Gianluca Mangiarotti, istrionico centrocampista di 20 anni, è già molto conosciuto negli ambienti del Pavia Calcio, grazie ai suoi ben 7 anni di militanza con questa maglia e qui si racconta per UAU magazine.
Prendiamo le mosse dalla tua carriera calcistica, a partire dagli inizi…
«Ho iniziato all’età di 8 anni nella squadra del mio paese e dopo vari provini in squadre come Inter e Milan, a 11 anni, sono stato acquistato dal A.C. Pavia. Qui ho passato 7 anni, facendo tutta la trafila, dai giovanissimi regionali sino alla Berretti. Ad oggi conto già 55 presenze nel campionato di Eccellenza lombarda e 6 presenze su 9 gare in serie D».
Qual è il ricordo e il periodo che conservi con maggior piacere degli anni passati nel Pavia?
«Con questa maglia ho avuto tante soddisfazioni e tanti bei momenti. Ma sicuramente l’emozione più grande l’ho vissuta durante la stagione 2008/2009. Era il mio primo anno da Berretti e mister Amedeo Mangone iniziò ad aggregarmi con costanza alla Prima squadra; dopo aver disputato diverse amichevoli, nel mese di maggio del 2009, mi capita l’occasione irripetibile di poter prendere parte all’amichevole di lusso Pavia-Bologna, squadra che milita nel campionato di Serie A italiano. La possibilità di potermi “confrontare” con giocatori del calibro di Di Vaio è stata sicuramente l’esperienza più bella di quella che è stata sino ad ora la mia carriera calcistica».
Descrivici che tipo di giocatore sei…
«Sino all’età di 12 anni venivo utilizzato come esterno alto di centrocampo, grazie alle mie buone doti tecniche e alla mia spiccata velocità. Giunto nei giovanissimi nazionali, il mister di allora decise di sfruttare maggiormente la mia buona qualità tecnica e visione di gioco, e iniziò a schierarmi davanti alla difesa affidandomi il compito di regia. Giocando con entrambi i piedi, sin da subito ho iniziato a divertirmi giocando in quel ruolo, perché la possibilità di toccare molti più palloni mi esaltava parecchio. Tutt’ora, il ruolo in cui mi riconosco è questo; ma nonostante ciò, durante i miei 13 anni di presenza sui campi da gioco, ho avuto la fortuna di provare praticamente tutti i ruoli e questo mi ha aiutato molto, perché sapere cosa fare in ogni zona del campo, è stata sempre una mia arma vincente».
Hai altri interessi, oltre al calcio?
«Sto frequentando il primo anno di università presso la facoltà di Scienze Motorie di Pavia e, considerando anche questo impegno, devo dire che non mi trovo ad avere molto tempo libero. Nonostante tutto, appena ho un secondo libero, lo dedico senza ombra di dubbio alla mia ragazza, che ha il pregio di farmi rilassare e di non farmi pensare ai cattivi momenti e allo stress che per via degli impegni, quali calcio e università, accumulo durante la settimana. Per il resto sono un ragazzo piuttosto tranquillo, non amo andare per locali o fare una vita notturna troppo movimentata, ma preferisco dedicarmi a quelle che sono le mie priorità».
Il tuo contratto sta per scadere, hai già pensato alla prossima stagione?
«Per ora penso solo a terminare nel miglior modo possibile la stagione con la mia squadra attuale. Ho comunque già avuto modo di ricevere qualche telefonata con offerte piuttosto interessanti, che al termine del campionato, prenderò in seria considerazione. Vedremo cosa succederà…».
A quale giocatore ti ispiri?
«Sono sempre stato un fan sfegatato di Andrea Pirlo e Xavi. Sono giocatori che interpretano alla perfezione il ruolo che ricopro anch’io e per me è sempre un piacere guardare le loro partite e memorizzare i loro movimenti, per poi tentare di riproporli nelle mie gare di campionato».
Parlando di giovani, perché un paese come il nostro, che è stato patria di grandi campioni, non riesce più a riproporre nuovi atleti che possano convincere anche ai massimi livelli?
«Io credo che con noi giovani non ci sia abbastanza pazienza e coraggio. Ormai sempre più spesso, nei campionati esteri, assistiamo a esordi di ragazzi giovanissimi, ai quali viene data estrema fiducia da allenatori e società anche di primissimo livello; questo per spiegare cosa intendessi per coraggio, che hanno all’estero a differenza che nel nostro paese. Per pazienza, invece intendo dire che non tutti i ragazzi che vengono “gettati nella mischia” rispondono allo stesso modo e offrono magari le giuste prestazioni, ma è proprio questa la forza che hanno gli allenatori all’estero, ovvero di continuare a puntare su di loro, a differenza dell’Italia, nella quale i ragazzi, alla seconda partita sbagliata, vengono accantonati e quindi “bruciati”. Questo è sbagliato, perché i settori giovanili delle squadre italiane sono davvero di primo livello, basti vedere la squadra Primavera dell’Inter, che ha vinto la prima edizione della Champions League, per squadre Primavera, proprio quest’anno».
serena manca