IL DIRITTO ALLA SALUTE HA DEI CONFINI?

E mi ritrovo qua per la milionesima volta, seduta in questa sedia di ospedale dura come la vita che mi aspetta e come gli attimi che ho già vissuto ad attendere qualcosa che dovrebbe essere un mio diritto,il diritto alla salute. Ma come attendere un diritto, nella specie il diritto alla salute, se essa stessa non mi appartiene?

Forse potrei sollevare una questione di legittimità costituzionale per incompatibilità con l’art .3 cost. e forse qualche giudice o qualche studioso mi darebbero ragione… ma non è questo il punto purtroppo! Non mi fermo più a domandarmi perché sono malata o la ragione di certi avvenimenti nella mia vita, perché con il tempo ho capito che non tutte le domande trovano una risposta e che per non tutte le domande esiste la risposta o quanto meno quella che le nostre orecchie vorrebbero sentirsi dire.

Però mi posso ancora chiedere perché un medico che anni addietro ha esperito un giuramento, un medico che si è assunto la responsabilità di fronte alla mia famiglia di prendersi cura di me, un medico a cui ho totalmente affidato la mia vita, non sia in grado di assolvere i suoi obblighi professionali e morali. Ad oggi uso l’articolo “un” al singolare riferendomi ad un singolo medico, ma se guardo indietro e non di molto, il singolare si trasforma in plurale. Qui non si parla e ancor più non si scrive senza cognizione di causa, senza esperienze alle spalle, senza inutile attese o false speranze…

Si parla attraverso il dolore di quelle ferite ancora sanguinanti di quella rabbia inesauribile e di quei ricordi indelebili nella memoria che neanche un coma, seppur breve, può cancellare. Perché, mi chiedo, devo aspettare ore e ore questo/i medici, perché devo rintracciarli telefonicamente o mandargli sms invano o peggio ancor devo essere snobbata? Forse perché non ti reputano un caso grave o perché c’è un caso più grave del tuo o, maliziosamente mi chiedo, forse perché c’è chi meglio sopporta il dolore rispetto ad un altro o chi lo fa trapelare di più o chi porta addosso segni tangibili chi meno… chissà!

Chi è nato e cresciuto con la sofferenza come compagna di giochi o come amica d’adolescenza sovente sa ben mentire, un dolore atroce diventa un fastidio leggero, un pianto un singhiozzo trattenuto o una finta risata. Ma non per questo una persona, ancor di più se medico, può permettersi certi lussi, certi atteggiamenti, giustificazioni insignificanti e banali di fronte al dolore del paziente, anche se il dolore è minimo, irrilevante, perché la rilevanza clinica non rispecchia quasi mai quella interna.

Ed è proprio per questa discrepanza clinico-interna che ho dovuto percorrere un viaggio lungo e tortuoso alla scoperta della mia malattia, grazie alla negligenza e arroganza di taluni medici che mi sono trovata in più di una occasione faccia a faccia con la morte. E se oggi sono viva di certo non devo ringraziare la scienza o i dottori, ma solo Dio e in seguito mia mamma, che mi ha sempre creduto e sostenuto e che ha sfidato e combattuto, come un pugile sfinito che tira il suo destro da ko, arroganza e saccenza di medici e infermieri.

Ci sono domande a cui non si possono dare risposte, ci sono sofferenze che non si possono comprendere se non vissute sulla propria pelle, ma credo fermamente che non ci possano essere medici inumani, perché il paziente prima di esser tale è un umano e penso che il medico dovrebbe sempre tenerlo bene in mente. Non so se queste parole abbiano un senso, o se sia solo rabbia accumulata riversata su un foglio bianco o semplicemente un modo per far passare veloce il tempo nell’attesa che il dott. Tizio si degni di ritenermi una paziente, una persona umana.

Nel frattempo io sono qui, in questa sedia dura nel frastuono del via vai dei medici con i mie pensieri… problemi angosce e dolori ad attendere…

sabrina romeo

 

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