«Scientificamente parlando, l’ergastolo non ha (più) senso», è la provocazione che ha lanciato il professor Umberto Veronesi nel commentare la politica criminale del Ministro della Giustizia Severino. La prospettiva di abolizione dell’ergastolo ostativo (la “fine pena mai” che nega ogni misura alternativa o beneficio penitenziario) solleva numerose riflessioni sui concetti di reato, pena e rieducazione del condannato.
Partendo da un orientamento deista, il delitto assume una concezione laica, intesa come violazione del contratto sul quale si dovrebbe fondare la società; diretto alla salvaguardia dei diritti dei cittadini, per garantire l’ordine, e non come offesa della legge divina che appartiene alla coscienza della persona e non alla sfera pubblica.
Secondo il principio contrattualistico, dalla idee rigorosamente illuministe, nessun uomo può disporre della vita di un altro uomo. Rousseau non concepiva nemmeno il suicidio, in quanto non l’uomo, ma la natura aveva potere sulla propria vita. La natura umana si svolge in una dimensione edonistico-pulsionistica, ovvero sia i singoli, sia la moltitudine, agiscono seguendo i loro sensi. L’uomo è caratterizzato dall’edonismo. Le leggi, che dovrebbero essere patti di uomini liberi, sono state strumento di passioni, nate per fortuita e passeggiera necessità. Tanto la pena sarà più pronta e vicina al delitto commesso tanto sarà più giusta e utile.
Ogni delitto offende la società. La certezza di un castigo farà sempre una maggiore impressione che una speranza dell’impunità. Reputo che sia sempre migliore prevenire i delitti che punirli. Non esiste una legge appropriata che possa controllare i sensi di ogni singolo, la funzione rieducativa della stessa pena è proporzionale alla volontà dell’uomo di vedere il giusto delle proprie azioni, nonché il proprio modo di essere non lesivo della sfera privata di un suo simile.
La pena dell’ergastolo, ha determinato fin dall’entrata in vigore della Costituzione, un intenso dibattito, in sede parlamentare e dottrinale, con i dovuti e consequenziali risvolti giurisprudenziali. In particolare, per la sua ammissibilità giuridica, l’attenzione si è incentrata sulla questione della compatibilità della pena dell’ergastolo, perpetua per definizione, con i principi sanciti al comma 3 dell’art. 27 Cost., il quale cita: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del soggetto.”
Uccidere un altro uomo, arbitrariamente, non è contrario ai sensi di umanità, socialmente e coscientemente inteso? Benedetto Croce, sollevò il dibattito, con la formulazione di un quesito fondamentale: la legge è utile, ma soprattutto ha un carattere morale? La morale è consuetudine, guida secondo la quale l’uomo agisce, o almeno dovrebbe, attinente pertanto alla condotta. Il cervello si rinnova, la condotta è conseguenza volontaria di ciò che viene pensato, la pena dovrebbe rieducare il soggetto a pensare secondo morale.
Privare una bambina del proprio padre o viceversa, solo perché un altro uomo ha deciso cosi, 25/30 anni non basteranno né sarebbero sufficienti a colmare il vuoto e placare il senso di una giustizia giusta, che va al di là della rabbia e perdono che si può concedere al condannato. L’applicazione della pena e la conseguente privazione di libertà non faranno gioire la bambina, né un genitore che perde un figlio per analoga azione da parte dell’imputato, ciò che rende eguali di fronte alla legge l’imputato-condannato e la figlia-condannata è la privazione.
Entrambi hanno perso qualcosa o qualcuno e guadagnato qualcos’altro.
Non è terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato,
ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà,
che divenuto bestia di servigio,
ricompensa con le sue fatiche quella società che ha offesa,
che è il freno più forte contro i delitti.
In realtà non esistono uomini giusti o sbagliati, né leggi giuste o sbagliate, parimenti, ciò che caratterizza l’uomo, non sembrerebbe essere la sua realtà ontologica, la sua natura intrinseca, quanto piuttosto il fatto stesso di esistere nel mondo.
francesca polimeni