Nell’ottobre del 2012 mi è capitato tra le mani un comunicato stampa della Federconsumatori, nel quale veniva esposto il rapporto sui costi degli atenei italiani. Il risultato di questa indagine era chiaro: dall’anno precedente, 2011, le tasse erano notevolmente aumentate. +7%, circa 70 euro in più ogni studente. Tasse che variavano a seconda dell’ateneo e della regione di provenienza (quelle più salate appartenevano a università settentrionali) e, paradossalmente, colpivano con maggiore forza le famiglie dai redditi più bassi (per la prima fascia i rincari arrivavano al +11%, per la seconda +10%, per la terza +2.8%).
Oggi emerge una nuova indagine, questa volta promossa dal CUN, il Consiglio universitario nazionale. In dieci anni il numero degli immatricolati è sceso da 338.482 (nell’anno accademico 2003-2004) a 280.144 (2011-2012). Circa 58 mila studenti in meno. Un campanello d’allarme che non può essere ancora ignorato dal governo. La notizia, evidenziata nella giornata di ieri da quotidiani come La Repubblica e Il Sole 24 Ore, dimostra come l’università e la pubblica istruzione siano il disastroso risultato di governi che per anni si sono succeduti, con riforme e tagli finanziari mal gestiti.
Oltre al numero degli immatricolati, in calo è anche quello dei professori (dal 2006 assistiamo a un -22%), dei finanziamenti del FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario, la principale fonte di entrata per le università statali, che nel 2013 si calcola scenderà del 20%) e delle borse di studio. Inoltre, secondo l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), l’Italia si troverebbe, quanto a numero di laureati, al 34esimo posto su 36 paesi: appena il 19% degli uomini compresi tra i 30 e i 34 anni nel nostro paese possiede una laurea, nettamente sotto la media europea del 30%. E ancora: meno studenti che decidono di iscriversi ai corsi di dottorandi e altri che li seguono senza alcuna borsa di studio, attrezzature che anno dopo anno sono superate e non vengono sostituite… Una lista che sembra non avere fine nel Bel paese.
Andrea Lenzi, presidente del CUN, ha mostrato tutto il suo rammarico per i dati che, purtroppo, ha dovuto pubblicare: «Come cittadino e ricercatore rispondo che l’Università crea conoscenza diffusa e capacità di sapere critico per i giovani, è l’unica istituzione pubblica che crea le competenze per la classe dirigente di un Paese democratico, moderno ed evoluto ed è l’unica palestra che mette in evidenza le vocazioni e le eccellenze indispensabili alla competizione scientifica globale. L’Università è l’unica istituzione in cui si sviluppa un’osmosi per un’imprenditoria di alto profilo e produce anche competenze indispensabili per una pubblica amministrazione adeguata al terzo millennio».
Spesso mi sento dire che bisognerebbe lasciare gli studi e dedicarsi ai mestieri di una volta, fisicamente più faticosi e certamente più redditizi. Idraulico, elettricista, meccanico, panettiere, cuoco. Ma con il passare degli anni anche quest’offerta non si ritroverebbe forse satura? E abbandonando la ricerca e lo sviluppo, il nostro paese non si ritroverebbe, ancora una volta, economicamente e tecnologicamente indietro al resto dell’Europa? Da ex studentessa universitaria non posso far altro che essere d’accordo con il presidente Lenzi: se non avessi scelto di prolungare i miei studi, probabilmente oggi avrei un lavoro più o meno stabile, e sarei già inserita nell’ambiente lavorativo da anni, traendone i relativi vantaggi. Ma al tempo stesso non avrei scoperto quali sono i miei veri interessi, la mia vocazione.
Infine, conclude Lenzi, «la ricerca scientifica è l’unico motore universalmente riconosciuto per l’innovazione e lo sviluppo, tanto che il resto del mondo sta investendo in ricerca nonostante il periodo di profonda crisi. Sono necessarie sia la ricerca applicata, in grado di attivare una fattiva sinergia con l’imprenditoria con cui far nascere e crescere le migliori esperienze, sia la ricerca di base sorgente che, da oltre un millennio, ha permesso quegli scatti innovativi che hanno fatto dell’Italia una delle nazioni di punta nelle scoperte in ogni campo». Sperando che qualcuno, seduto sulle comode poltroncine di Palazzo Montecitorio, ci pensi.
paula parovina