ESSERE OTTIMISTI? YES, WE CAN

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Non si parla dell’arte di guardare il bicchiere mezzo pieno, né di terapie psicoanalitiche per sopravvivere all’amaro della vita, ma si parla di ottimismo. L’ottimismo non è un entusiasmo forzato o un’illusione psicologica, né una forma di negazione della realtà, ma è piuttosto un’arte di vivere che fa bene alla mente e al corpo. Roba seria, non slogan o ricette per pensare positivo. A dirlo è la prestigiosa Harvard School of Public Health, l’istituzione americana deputata a migliorare la salute pubblica attraverso ricerche e azioni di comunicazione, che ha stabilito che fattori come ottimismo e fiducia in se stessi comportano una riduzione dei rischi di infarto e ictus.

A dimostrarlo è la storia: siamo usciti dalle caverne grazie a quel desiderio di migliorare noi stessi e la tribù di appartenenza. E le attuali spinte di equità sociale e democrazia vanno in quella direzione. Questo perché siamo biologicamente programmati a vedere il mondo meglio di come si presenta. È l’ottimismo e la pulsione positiva innata nella razza che ha garantito l’evoluzione della specie , si tratta solo di coltivarla.

Già Shopenauer, il pessimista della filosofia moderna, ne faceva il massimo obiettivo raggiungibile essendo impossibile, a suo dire, essere felici. Concetto che nei secoli è stato tramandato e spesso è stato tradotto in detti popolari che fanno bene all’anima quando le tenebre avanzano: “Non tutti i mali vengono per nuocere” o “Si chiude una porta , si apre un portone”Insomma, in tempi grami come questi, scommettere sul segno più è un modo per aggirare scenari neri e tetri. Persino in politica l’ottimismo paga. La vittoria di Barack Obama fece leva sul “Yes, we can” che ha garantito nel periodo pre-elettorale un’ondata di ottimismo che aveva contagiato l’80% degli americani e trascinato con sé anche l’Europa alla pari delle rassicuranti certezze declamate dai nostri politicanti.

La psicologa e neuroscienziata israeliana Tali Sharot, ricercatrice all’University College di Londra ha raccontato nel suo famoso saggio “Ottimisti di natura. Perché vediamo il bicchiere mezzo pieno” che c’è un luogo della corteccia cerebrale deputato a registrare l’ottimismo ed esistono basi biologiche che ci inducono a guardare sempre il mondo con lenti rosa.

Dunque “think pink” fa bene all’umanità e alla nostra salute. E non dobbiamo poi tanto faticare perché il nostro bisogno di vedere un bicchiere mezzo pieno è biologicamente innato: la speranza non è razionale, ma noi siamo comunque programmati per averla. Insomma l’ottimismo è una forma di leggerezza, un’illusione estremamente produttiva che non deve sconfinare nella superficialità e faciloneria.

alessia laterza

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