Le startup sono aziende appena avviate, ad alto rischio di sopravvivenza sul mercato, con guadagni incerti e basate su una componente fondamentale, ossia l’idea. Trovare l’ispirazione per intraprendere questo percorso non è semplice, ma nemmeno impossibile: stiamo parlando di proporre qualcosa di profondamente innovativo, che non implica necessariamente l’ideazione di nuove aree di mercato, ma che può essere un modo radicalmente nuovo di fare qualcosa che già esiste. Chi fa startup deve essere ambizioso, ma al contempo realista perché la strada non è facile ed è tutta in salita, come possono confermare molti di coloro che hanno intrapreso questo cammino.
A fare il punto sulla situazione attuale dell’universo startup ci ha pensato l’evento #farestartup, organizzato dall’associazione culturale Progetto Pavia, nella persona di Andrea Scova, svoltosi lo scorso 11 novembre e al quale hanno preso parte ospiti di livello internazionale del settore. Il Polo tecnologico di Pavia, una realtà già di per sé innovativa, è stata la cornice dei numerosi interventi che, con tanto realismo e la giusta dose di carica, hanno analizzato nel dettaglio lo stato attuale del settore startup e i possibili scenari futuri.
Tra i temi ricorrenti si può annoverare la volontà, da parte di tutti i relatori, di sfatare il mito delle startup e del “successo facile”, parole da sostituire – attraverso una maggiore educazione e cultura su questo tema – con impegno, idee e capacità. Sulle possibilità che offre la nostra città si è focalizzato l’intervento di Amit Chawla, CEO di Funambol, una startup nata a Pavia e che oggi è diventata un colosso che fa affidamento su molti cervelli italiani. In soli tre anni Funambol ha raggiunto 1.300 miliardi di utenti mobile, diventando fornitore leader nel settore di soluzioni personal cloud per la sincronizzazione di cellulari, personal computer, tablet e altro ancora. Chawla non ha nascosto una certa perplessità iniziale, «My first question was: where is Pavia?», che ha poi lasciato spazio a ottimi risultati. Chawla ha, inoltre, stupito molti dei presenti rivelando che produrre software è molto meno costoso qui a Pavia piuttosto che in India e ha valorizzato il talento italiano, che risulta molto apprezzato all’estero. Questo tema è stato subito ripreso nell’intervento di Francesco Svelto; il Prorettore ha fatto notare, infatti, come molte multinazionali ricerchino studenti dell’Università di Pavia, puntualizzando però che spesso ai dottorati si preferiscono i laureati.
La voce di Pavia è divenuta ancora più forte con l’intervento del Sindaco Alessandro Cattaneo, secondo cui la città ha tutte le carte in regola per poter essere di riferimento un punto di riferimento per le startup. Cattaneo crede nella realtà pavese e crede che mentalità e idee vengano prima di tutto. Una dimostrazione? «Il Polo Tecnologico è una sfida che stiamo vincendo senza soldi pubblici». L’invito del Sindaco a una fase di cambiamento è molto esplicito, serve uno scatto generale che coinvolga tutti, le istituzioni, le banche, l’Università, nessuno si deve sentire escluso. La città di Pavia può quindi essere terreno fertile per idee innovative anche perché, come ha tenuto a ricordare Gianluca Dettori, fare startup è la cosa più bella che si possa augurare a un neolaureato.
Dettori (in foto) inoltre respinge il pensiero comune di dover scappare dall’Italia per poter realizzare qualcosa, le possibilità ci sono anche qui, bisogna mettere sul piatto le capacità. Noi italiani abbiamo delle grandi capacità, in tutti i campi, per questo è importante iniziare a credere in quello che possiamo fare, all’estero lo fanno già, come ha sottolineato anche Chawla.
Una delle principali differenze di mentalità tra l’Italia e l’estero, in particolare gli Stati Uniti, sta nella circostanza che da noi un insuccesso è solo un passo negativo di cui vergognarsi. Invece, come ha spiegato Alberto Onetti, negli USA sanno bene che successo e insuccesso non sono due categorie distinte e lontane tra loro, un’esperienza positiva è sempre costellata di momenti bui e difficili. Onetti ha lanciato un monito a tutti coloro che oggi iniziano a fare startup solo perché l’opinione pubblica sta cavalcando molto l’argomento, senza sapere che negli Stati Uniti il 60-70% delle startup fallisce perché non riesce a trovare una exit. Per rendere possibile il sogno di fare startup in Italia è necessario creare un ponte con la realtà produttiva italiana, che ad oggi, non è ancora pronta.
Un ponte fra Italia e Stati Uniti è stato costruito già da tempo, grazie a Mind The Bridge, la fondazione di cui Onetti è chairman. Nel video di presentazione della fondazione proiettato nel corso dell’incontro, una frase mi ha colpito particolarmente: «Create your own job is better than looking for one». È la stessa frase che si sente nel film “The social network” ispirato alla creazione di Facebook, un grande esempio di come fare startup di successo.
martina raggi
Io c’ero e sono intervenuto per dare il mio piccolo contributo, frutto di 30 anni di esperienze in una dozzina di start up fatte per conto mio e di terzi:
1. Bene, finalmente Pavia si muove: siamone orgogliosi e facciamo fiorire questa attività creandovi sinergie.
2. Fare start up è appassionante, coinvolgente, gratificante, ma faticoso, emozionante e pieno di stimoli. Quindi, nervi saldi, positività, ottimismo e credere in una vita fatta di cicli: ad ogni vittoria seguono sconfitte, ma le sconfitte servono per prepararsi alle nuove vittorie.
3. Tutti i miei start up sono sfociati in imprese al massimo da qualche milione di euro, con non più di una quarantina di dipendenti. Tre le ho anche accompagnate fino alla quotazione di Borsa. Ambire a pescare il Jolly facendo l’impresa di livello mondiale come indicato da Dettori è bene, ma poi bisogna far i conti anche con la realtà. E se non peschiamo il jolly – io lo sto ancora aspettando – possiamo sempre costruire imprese che ci danno da grandi soddisfazioni anche su scala più modesta. Facciamolo, ma non demordiamo mai!
4. Per una start-up, l’idea non basta: bisogna creare una macchina in grado di svilupparla. I mezzi – e il tempo – scarseggiano sempre, per cui bisogna operare sempre con la massima focalizzazione sugli obiettivi, evitando dispersioni, panico e momenti di sconforto, ma concentrandosi su come arrivare sul mercato rapidamente, in modo competitivo e con qualità di offerta.
5. Fare sempre i conti con i mezzi che si hanno a disposizione: largo ai piani ambiziosi, ma fare sempre i conti con la realtà. Prima!
6. Le idee vincenti sono sempre le più semplici da realizzare, da comunicare, da sviluppare. Meglio quindi osservare la realtà che ci circonda piuttosto che immaginare cose molto lontane da noi.
7. Dimenticarsi di orari di lavoro, ferie, relax: lo start up diventa la nostra passione, che porteremo avanti con un’intensità pari solo a quella che si vive nelle fasi di innamoramento. Altrimenti, meglio lasciar perdere.
8. Considerare che non si smette mai di imparare e che le idee vengono e si coltivano solo studiando, curiosando in giro, confrontandosi con altri.
9. Tutti nasciamo imprenditori, per lo meno di noi stessi o per la nostra famiglia. La scuola dovrebbe prepararci a questo e non a presentare CV, così come oggi fa. Per cui, colmiamo questa lacuna integrando ciò che ci manca facendo corsi, appoggiandoci a consulenti, documentandoci prima di lanciarci in nuove iniziative: il lavoro occuperà sempre gran parte della nostra giornata, della nostra vita e se non c’è impariamo ad inventarcelo. Ne trarremo soddisfazioni immense, una vita avventurosa e la prospettiva di vivere nettamente meglio che inquadrati in aziende che spesso non premiano il merito, le iniziative, la capacità di assumersi rischi.
W Pavia, W l’imprenditorialità!