Partiamo dal presupposto che essere imprenditore non significa solo aprirsi un’impresa, essere imprenditore significa essere quel qualcuno che, seppur operaio o impiegato, ha sempre quel valore aggiunto, da apportare alla sua azienda, che fa la differenza. Per farlo, a volte, basta veramente poco: voglia e determinazione.
Il concetto di Imprenditore Corporativo non è molto usato qui in Italia, ma se cercate in internet, in inglese o spagnolo, potete imbattervi in diverse definizioni. Tra le tante, quella che secondo me rende piu l’idea è la seguente: “Il corporate entrepreneur è quel lavoratore che ha la possibilità di promuovere, gestire e implementare progetti e azioni di miglioramento e innovazione, all’interno dell’impresa, con flessibilità, spirito di apprendimento e con l’ambizione di generare valore per se stesso e per la organizzazione”.
Il termine è stato coniato dal famoso Peter F. Drucker, consulente di management, educatore e scrittore. Dal suo punto di vista il “Corporate Entrepreneur” rappresenta una vera e propria figura strategica, inserita e atta a ideare innovazioni nel contesto aziendale. Mi trovo però a sbattere contro un’altra definizione, quella di un professore della UDESC (Universidade do Estado de Santa Catarina – Brasile), il quale mi ha illuminato sul termine e sulla importanza di coglierne la generalità e il significato applicato al mondo del “lavoratore, collaboratore, dipendente”.
Piú spesso ci troviamo a pensare a un lavoro di dipendenza come una sorta di schiavitú moderna, un mero mezzo per portare il pane a casa. Mi sovviene il detto
“Choose a job you love, and you will never have to work a day in your life” cit. Confucio,
e mi chiedo se un insegnamento del genere unito al concetto di Corporate Entrepreneur, semplice e essenziale, possa cambiare un’intera generazione.
Immaginiamo un mondo in cui la prima cosa che ti insegnano è che tu sei importante, le tue idee sono importanti e piu ti metti all’opera e impari e piu potrai essere utile e sentirti soddisfatto per tutto questo: i ragazzi che stanno studiando in questo momento potrebbero uscire dal liceo con un’idea piú positiva di se stessi, con un obiettivo un po’ meno vago sul proprio futuro e magari con quella marcia in più che serve per sopravvivere e, perché no, essere felice del proprio lavoro, qualsiasi esso sia?
Sono convinta che la metafora di Mary Poppins abbia un senso “Basta un poco di zucchero e la pillola va giù” e, d’altronde, dalle piccole azioni si sono raggiunti grandi risultati.
giuseppina cuccurullo