«Ha vinto un nome imperituro, il genio e, soprattutto, la felicità» scrisse Stendhal di Gioachino Rossini nella prefazione alla di lui vita. E nel “Tancredi” – che andrà in scena venerdì 22 novembre e domenica 24 al Teatro Fraschini di Pavia – possiamo sicuramente apprezzarne lo spessore del nome, la genialità, non tanto la felicità. La versione originale dell’opera del compositore pesarese, infatti, si chiudeva con un lieto fine: il coronamento dell’amore contrastato fra Tancredi e Amenaide. Tale finale venne poi modificato nelle repliche successive e la variante che andrà in scena a Pavia (per proseguire il 28 e il 30 novembre al Ponchielli di Cremona, il 6 e l’8 dicembre al Sociale di Como e il 13 e il 15 dicembre al Grande di Brescia) vedrà culminare il melodramma nel suo finale tragico, «perché a differenza del pubblico settecentesco (la cui prima rappresentazione andò in scena ben 200 anni orsono), il quale preferiva un finale diverso, oggi la tragicità dell’opera si interfaccia meglio con i nostri gusti e nello stesso tempo ci rende consapevoli della nostra epoca di eroi e lotte», commenta il direttore d’orchestra Francesco Cilluffo.
E proprio nel “Tancredi” possiamo ammirare un’eroina come Amenaeide, la quale con la sua lettera iniziale riflette l’attualissimo problema dell’incapacità di esprimersi in modo diretto e l’incomunicabilità che ci accompagna anche nelle banalità più futili. Ma la protagonista dell’opera ci mostra anche «il triste ricordo che in alcune società la voce della donna non contava e continua a non contare», come ricorda lo stesso Cilluffo in un’intervista che potrete leggere a brevissimo su uaumag.it.
Il melodramma eroico di Rossini, ambientato negli anni ’40 del secolo scorso in una località del suditalia durante un festa patronale, si mostrerà così allo spettatore più attento uno specchio davvero realistico di rilevanti aspetti che caratterizzano tutt’ora la nostra società, fornendo una chiave di lettura che offre interessanti spunti di riflessione. Quale migliore occasione per avvicinare i giovani al mastodontico patrimonio italiano di lirica?
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raffaella cuzzola
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