Tanti piccoli puntini sparsi: Gennari distrugge i miti sulla mafia

1395156_663033853718546_803782016_nAll’ingresso dell’Aula Magna c’è un tavolino con sopra una ventina di copie del libro Le Fondamenta della Città. Le due signorine dietro al tavolo, la copertina bianca con una città che sanguina in rosso, l’odore della carta stampata sono solo tre motivi per un acquisto impulsivo. Settanta persone varcano la soglia prima delle nove e subito dieci copie del libro scompaiono dal tavolino.

Sul quarto gradino del palco, quello con il tappeto rosso del prestigio universitario, vi sono tre bandiere a coprire i banchi simmetricamente disposti, due bassi ai lati e uno più alto al centro. Le bandiere sono, da sinistra a destra, quella dell’Osservatorio Antimafie Pavia (OAP), quella del Coordinamento per il Diritto allo Studio (UDU) e, infine, quella di Jaromil, periodico universitario locale che sponsorizza, insieme alle prime due organizzazioni, l’intera manifestazione che parte stasera: Mafie 2013 – legalità e istituzioni.

Dai primi posti, voltandosi per avere il colpo d’occhio sulla sala, si può avere la percezione di quello che gli ospiti della serata potranno vedere: tanti piccoli puntini sparsi tra le panche e le sedie, al massimo a gruppi di quattro persone. È la distanza di chi non conosce gli altri e, forse, non conosce a fondo l’argomento della serata e chi parlerà.

Delle settanta persone, solo una su quattro è sopra la trentina. L’introduttore della serata, Luca Casarotti, membro dell’OAP, non crede nei discorsi generazionali, ma ammette che l’alta presenza di “under quaranta” nel programma di questa IX edizione è un segnale importante e una delle novità. Le altre sono l’estensione a due settimane dell’iniziativa, un maggior numero di eventi, una grande differenza tra questi: sono infatti sei gli appuntamenti tra incontri, spettacoli teatrali e convegni.

Casarotti annuncia l’assenza di Andrea Ghinetti, Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano, che doveva accompagnare il collega. Dietro ai banchi si è già seduto Giuseppe Gennari, l’autore del libro all’ingresso. Accanto a lui Marco Magnani, direttore di  Jaromil, che riceve la parola dopo i ringraziamenti agli organizzatori da parte di Casarotti. Magnani introduce la serata utilizzando un vocabolario conosciuto anche a chi non mastica di ‘ndrangheta e mafia: si parla dell’operazione Crimine – Infinito, delle infiltrazioni mafiose, delle “ferite forti” che ha subito Pavia con l’arresto di Carlo Chiriaco e Pino Neri e, piccolo punto di critica, dell’assenza di rappresentanti dell’amministrazione locale.

Quando Gennari inizia a rispondere alla prima domanda è subito chiaro quale sarà l’esito della serata, una operazione di doppia disillusione: che un magistrato debba per forza annoiare, o essere criptico; che la mafia e il nord stiano vivendo un flirt iniziato da qualche anno. Il magistrato parla degli anni Settanta e Ottanta, quando gruppi i emigrati calabresi arrivarono per la prima volta al nord e, volendo iniziare attività criminose, presero ad esempio la mafia siciliana che qui aveva già spazio d’azione. Ai reati di sequestro di persona, all’epoca redditizi, seguirono i delitti di droga: l’epoca a cui Gennari si riferisce è, a detta sua, solo in apparenza più dura della nostra. Con la stagione dei grandi arresti tra 1990 e 1995 abbiamo una prima risposta delle forze dell’ordine in associazione con la procura di Milano.

A questo punto Gennari specifica, dunque, che la storia stessa nega tutte le frasi fatte su nord e Mafia, perché questa non se n’è mai andata e i dieci anni che separano quella stagione d’arresti dall’inizio dei lavori per Crimine – Infinito (d’ora in avanti CI, ndr) sono stati una pausa solo giudiziaria. Altre due idee si fanno strada nella nostra mente. La prima è che esiste un velo che ha coperto e che continua a coprire questa verità. La seconda è che chi, come me, non aveva comprato il libro all’ingresso, l’avrebbe fatto di sicuro all’uscita.

Gennari spinge il discorso avanti nel tempo di dieci anni. La mafia cambia settore, scompaiono i crimini di forte impatto sociale e iniziano attività in campo economico, sanitario e immobiliare. L’ndrangheta al nord si struttura con piccole cellule dette locali che fanno capo ad una organizzazione più grande, chiamata La Lombardia. È quest’ultima a detenere i contatti con le famiglie calabresi. Quello che l’operazione CI svela non è, dunque, l’esistenza della mafia al nord, ma la sua organizzazione.

Gennari ci fa anche vedere l’operazione attraverso gli occhi di un magistrato. I processi vivono di una costante ricerca della verità alla quale, tuttavia, si deve sempre collegare un modello criminale. Talvolta tra la realtà e un modello di delitto non esiste una corrispondenza diretta e questo rappresenta il primo problema per la costruzione di una istruttoria. Il secondo problema è quello della territorialità, spesso un tecnico e di competenza. La volontà degli inquirenti è quella di chiarire una certa autonomia della La Lombardia rispetto alle organizzazioni con sede calabrese e, allo stesso tempo, dimostrare una dipendenza delle locali da essa. Questo per due motivazioni: avere giurisdizione per indagare e riuscire a perseguire le locali come estensione della La Lombardia. Senza questo approccio, un tribunale dovrebbe perseguire singolarmente ogni singolo gruppo mafioso col rischio di poter attribuire a questo solo delitti minori.

Gennari conclude il proprio parere sull’operazione CI ricordando che il processo deve affrontare ancora un ultimo grado di giudizio, quello della cassazione, e aggiungendo che quello trovato è soltanto un quadro parziale della realtà ottenuto grazie alla collaborazione tra Procura di Milano e Procura di Reggio Calabria.

La successiva domanda del moderatore riguarda i possibili limiti del codice penale in materia di contrasto alla mafia. La risposta parte con una premessa: l’attività di contrasto è solo l’ultimo capitolo. Anche gli arresti non sono purtroppo utili, perché, soprattutto al sud, la mafia consta un gran numero di affiliati. Per Gennari l’unica soluzione è quella di una operazione culturale, favorita da una normativa non penale, che elimini dalla mentalità italiana l’istituzione ufficiosa del favore come elemento di scambio al pari di una moneta.

Detto ciò, per il magistrato esistono due lacune giuridiche. La prima riguarda il rapporto tra mafia e politica, dove si cita l’art.416-ter c.p. sul voto di scambio, una norma infelice perché non specifica al meglio la propria attuabilità. Inoltre, la giustizia oggi può perseguire un politico per l’acquisto di voti da mafioso, ma la realtà è che il mafioso appoggia un politico per il potere che questo può avere una volta eletto.

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La seconda lacuna riguarda la zona grigia all’interno della quale possono essere inseriti tutti quei professionisti esterni che forniscono aiuti alla mafia saltuariamente. Le applicazioni del reato di concorso esterno possono essere contate sulle dita di una mano e risulta anche difficile definire il delitto compiuto dai professionisti esterni. Sui rapporti tra mafia e imprenditoria, Gennari cita un articolo di Federico Varese e se ne serve come prova per distruggere una ennesima leggenda: secondo i dati raccolti dal collega sono gli imprenditori ad avere il maggior guadagno nel collaborare con la mafia. Si dimostra anche che, spesso, minacce e aggressioni ad imprenditori portati da mafiosi sono state fatte su ordine di altri imprenditori. Ovviamente vi è anche chi ha cercato di resistere, ma l’articolo di Varese dimostra in modo lampante come la mafia si muove per interesse dei singoli, attraverso scambio di favori e fornendo servizi che, di fatto, la pongono come sostituto dello Stato.

All’ennesima timida domanda di Magnani, che forse riflette la timidezza della platea stessa, Gennari risponde in tono secco e deciso. Perché il territorio lombardo è fertile alle infiltrazioni mafiose? Perché ogni mafia è una lobby che porta all’estremo la tendenza già italiana del clientelarismo. Siamo nel paese dei favori, peggiore della prima repubblica poiché la corruzione è oggigiorno diventata selvaggia, senza regole.  L’unico modo per interrompere questo circolo vizioso è attraverso l’autogestione e la presa di coscienza di ogni parte dello Stato. La mafia, inoltre, non deve essere più vista come un problema invisibile e che appartiene solo ad altri. Anche quando colpisce una zona differente da quella in cui abitiamo, la mafia crea sempre conseguenze maggiori: l’esempio portato è quella dell’indagine sull’azienda TNT. Finché aziende estere vedranno l’Italia come il giardino della corruzione nessuno vorrà investire nel nostro paese.

Dove sta la forza degli italiani? Nel loro voto. La loro debolezza nel rieleggere coloro che non hanno fallito o, peggio ancora, hanno osteggiato quella rivoluzione nazionale e culturale, che non ha solo il fine di combattere l’ideologia dietro alla mafia, ma anche di far ripartire l’Italia stessa. Non c’è miglior messaggio di un risultato elettorale, conclude Gennari.

La conferenza finisce, si sono contati solo tre timidi applausi. Si passa rapidamente alle domande, molte delle quali incentrate su vicende personali di chi le pone o sulla dimensione pavese delle propaggini mafiose. Data risposta all’ultima domanda, Magnani conclude l’appuntamento con una citazione dal libro di Gennari, riassumibile con la frase: «deve vincere l’idea che l’onestà è più forte».

Il tempo di raggiungere il banchetto d’ingresso, sganciare i soldi e comprare una copia del libro e si ritorna davanti, proprio sotto al tavolo di Gennari. Siamo in sette a chiedere l’autografo. Essendo l’ultimo, faccio una timida domanda: la presa di coscienza deve partire da una parte specifica dello Stato? «Secondo me ogni componente dello Stato deve fare la sua parte; è un’azione sinergica. Lo Stato deve recuperare una relazione di fiducia con i cittadini in tutte le sue espressioni e il cittadino deve credere nello Stato e per questo ha bisogno di una magistratura efficiente, che persegua i criminali, ma anche di una pubblica amministrazione che dimostri di superare il limite della burocrazia; ha bisogno inoltre di una istruzione che funzioni; insomma, ha bisogno di uno Stato che sia in grado di rispondere alle necessità della vita collettiva in tutte le sue espressioni. Quindi, non farei una graduatoria».

Il giorno dopo, come sempre, ognuno di quei puntini sparsi, ora accomunati dalla esperienza comune dell’incontro, riflette su ciò che ha sentito. Apre il quotidiano locale e non trova nulla, neanche uno straccio di esistenza delle parole di Gennari. Fortuna che noi abbiamo il libro; e che voi abbiate noi. Questa sarà la nostra parte, da timidi spari puntini: spargere la voce.

daniele fusetto

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