Intervista allo Chef Cesare Casella

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who

Mr. Cesare Casella

why

Chef pluripremiato e autorità culinaria italiana, sovrintende la cucina di due ristoranti di sua proprietà a NY in partnership con Parmacotto. Autore di quattro libri sulle nozioni fondamentali della cucina toscana, Presidente dell’Italian Culinary Academy presso l’International Culinary Center.

Where

Salumeria Rosi (283 Amsterdam Ave)! Salumeria Rosi Il Ristorante (903 Madison Ave) NYC!

what

Lavorava come aiuto cuoco della madre nella trattoria di famiglia, Vipore, nei dintorni di Lucca. Dopo gli studi torna al Vipore, ottiene la prima stella Michelin di quell’area. Agli inizi degli anni ’90 arriva a New York City, quasi trascinato dal gestore del Coco Pazzo, il ristorante più trendy nella City al tempo. Dal suo arrivo ha aperto due ristoranti di successo Beppe e Maremma i quali, quando era in cucina, ricevettero il plauso sia della critica che degli avventori.

web

www.salumeriarosi.com

special marks

Adora il rosmarino, ne porta sempre un ramoscello nel taschino

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Avevi già vinto una sfida in Italia conquistando una stella Micheline con il tuo ristorante di famiglia…

«Credo di sì perché credo che sia stata una fra le prime stelle conquistate da un ristorante in campagna, quindi non elegantissimo. Una stella meritata grazie alla qualità e alla semplicità del cibo offerto e all’attenzione al servizio. La mia regola: rispetto per l’ingrediente e rispetto per il cliente».

Come mai, quindi, hai intrapreso una nuova sfida a New York?

«Il Vipore (il ristorante di famiglia da cui ha iniziato la carriera) era frequentato da moltissimi americani, famosi, come Harrison Ford, Tom Cruise, Kissinger, e non. Ho conosciuto molte persone, che poi sono diventate amici; passavo le vacanze a NY e ho cominciato ad amarla, ho iniziato a fare delle serate di beneficenza per passione e mi hanno offerto di lavorare qui come executive chef, ma inizialmente rifiutai perché avevo appena cominciato l’avventura con il ristorante in Italia, gli avevo dato la mia impronta e non volevo lasciare tutto il peso sui miei genitori. Dopo qualche mese però ho ricevuto un’altra offerta da NY come consulente, mi sono fatto ingolosire, venivo qui una settimana al mese al Coco Pazzo, fino a che il proprietario (che gestiva 12 ristoranti qui a NY) mi ha per così dire costretto a trasferirmi qui -ride».

Stiamo parlando degli anni ’90, sicuramente hai trovato una situazione diversa da oggi…

«Sì, completamente. C’erano moltissimi cuochi italiani qua a gestire o avviare ristoranti italiani; ora non più, i ristoranti italiani sono aperti o gestiti da americani. C’era un altro concetto di cucina. In quegli anni si stava mischiando la cucina italiana a quella americana, quell’ondata di chef ha stimolato una nuova era della cucina italiana negli Usa».

Non ti sembra un po’ bistrattata la cucina italiana qui?

«La cucina italiana è la più popolare, la prima scelta per andare a mangiare fuori. Molte volte per seguire il mercato viene aperto un ristorante di cucina italiana da stranieri senza reale conoscenza della cucina italiana e dei suoi prodotti, tu ti riferisci a questi credo. In molti ristoranti di successo invece, per fortuna, viene molto curato l’aspetto del menù perché il proprietario americano ha molto rispetto per la cucina italiana. D’altronde bisogna considerare il fatto che molte volte un locale che bistratta la cucina italiana a fine mese chiude con 1 milione di dollari di gross-income. Per fortuna molti giovani americani che oggi rappresentano la cucina italiana negli Usa sono molto rispettosi della cultura e della tradizione culinaria italiana, ma la reinterpretano alla loro maniera, senza maltrattarla, modificandola, creando una nuova corrente culinaria, quella che puoi assaggiare oggi nei ristoranti di cucina italiana».

Come nasce la collaborazione con Parmacotto?

«A una cena tra amici, stavamo mangiando sushi, mi è stato introdotto Marco Rosi, ma io non avevo idea di chi fosse. Abbiamo cominciato a parlare di salami, insaccati, maiali e mi sono accorto che ne sapeva… Lui aveva un’idea, voleva aprire una salumeria a NY. È una collaborazione nata molto alla newyorchese…».

Qui sei conosciuto come il re della polpetta, qual è il tuo segreto?

«La ricetta è quella della mamma, lesso avanzato dal brodo. Io veramente non le volevo cucinare le meatballs, mi hanno tirato scemo fino a che non mi hanno convinto a proporle… e sono piaciute talmente tanto che hanno iniziato a scriverci gli articoli…».

Sei autore di 4 libri, titolare ed executive chef di 2 ristoranti, presidente dell’Italian Culinary Academy, importatore di legumi, ospite televisivo di diversi programmi di cucina. Come fai a fare tutto?

«L’importante è il Team! Non sono onnipresente, ho la fortuna di avere buoni collaboratori. Devi trovare dei buoni collaboratori se vuoi evolvere. Come presidente dell’ICA cerco di educare alla cultura della cucina il popolo americano cui si rivolge l’accademia. Educare per mantenere le tradizioni. Il prossimo libro parlerà di noi chef italiani che lavoriamo all’estero. La società d’importazione è nata nel ’99 per il semplice motivo che qua non trovavo fagioli buoni! All’elenco devo aggiungere un progetto di cui sono promotore, The Center for Discovery, che è un centro per disabili che ha lo scopo di curare malattie attraverso cibi naturali, organici, prodotti all’interno della farm. Sono convinto che mangiando meglio si possa anche stare meglio».

Dai un consiglio ai giovani italiani che vogliono provarci!

«La prima cosa che consiglio è di venire qua, essere curiosi e non presuntuosi. Fare un’esperienza qua, dall’interno si capiscono molte più cose. Il primo investimento è venire qua e lavorare almeno un mese in un posto che gira forte, perché qua la realtà è molto diversa rispetto all’Italia».

Eataly, bene o male?

«Sicuramente molto bene. Oscar è un mio amico, ha avuto una splendida idea. Grazie a lui tutto il settore alimentare italiano all’estero si è dovuto in qualche modo adeguare e quindi alzare di livello, io ti parlo di NY in particolare perché è la realtà che conosco io». 

Tre caratteristiche che ti rappresentano:

«Curioso, Estroverso, Pazzo!».

Tre ingredienti con cui si può fare tutto, a parte il rosmarino che non vale?

«Olio, Pane, Verdura».

Tre persone che odi:

«Troppo difficile, non ne ho, tendo a dimenticare tutto ciò che è negativo».

Tre persone che ami e/o ammiri:

«Mia figlia, mia mamma, Gualtiero Marchesi»

Tre cose che non avresti fatto:

«Molte cose, ma credo che tutte siano servite a farmi crescere! Metti per esempio la scelta di venire qua NY, ai tempi era sembrata a tutti, me in primis, una gran cavolata… poi in realtà non lo è stata per niente! Non avrei fatto le lezioni di golf. Alle altre ci devo pensare, te le mando via mail». -Non me le ha mandate-

Tre cose che vorresti ancora fare:

«Vorrei creare un attestato riconosciuto a livello globale per gli ingredienti e la cucina italiana».

Tre consigli per i giovani che non vogliono rimanere infangati nella crisi:

«Io credo che la crisi ci sia e non ci sia. C’è sempre la possibilità di emergere, se uno è intelligente e sa adattarsi può comunque fare bene. Molte volte i giovani di oggi vogliono ottenere le cose troppo velocemente, io credo molto nell’apprendistato, capire prima di fare. Fare esperienza all’estero. Pensare sempre alla peggiore delle ipotesi. Accettare compromessi tra le proprie aspettative e la realtà».

Tre chef che vorresti essere:

«Paul Bocuse, Massimiliano Alajmo, mia mamma».

mattia paparella

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