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Venerdì 9 Maggio uno dei più noti economisti italiani – Michele Boldrin, della Washington University – ha tenuto a Pavia la conferenza dal titolo “Difesa della proprietà intellettuale: diritto o freno per l’innovazione?”. Scopo della conferenza è spiegare la tesi sviluppata dal professor Boldrin e da David Knudsen Levien secondo cui l’eliminazione della proprietà intellettuale (Copyright, brevetti, etc.), o quantomeno una sua riforma, paradossalmente potrebbe accelerare i processi di innovazione, invece di attenuarli.
Activators Pavia non poteva farsi sfuggire una simile opportunità e quindi siamo andati ad ascoltarlo. Ore 11.30 del mattino, il Professor Denicolai, docente del dipartimento di Economia dell’Università degli Studi di Pavia, introduce egregiamente il professor Boldrin: autore di 35 articoli su riviste ISI, oggetto di oltre 800 citazione e avente un h-index di 15 (Si tratta dell’indice di Hirsch che quantifica la prolificità e l’impatto del lavoro degli scienziati: non male se consideriamo che la maggior parte dei ricercatori italiani non arriva a 2)
“No Brevetti – No Party”.
Inizia così il professor Boldrin per spiegare in modo sintetico e altrettanto semplice la situazione attuale. Una parte prevalente della letteratura economica sostiene che senza una qualche forma di protezione della proprietà intellettuale (brevetti, copyright, ecc.), il mondo avrebbe uno scarsissimo numero di prodotti innovativi (tecnologici, medicali, etc.). Ma allora perché può esistere un mondo privo di proprietà intellettuale? E perché in quel mondo fantastico studiato da Boldrin ci sarebbe probabilmente più innovazione di quella che abbiamo oggi giorno nel nostro mondo reale protetto da copyright? Per spiegarcelo il professore introduce alcuni semplici concetti economici.
Il primo concetto è quello del Costo fisso.Immaginate di essere un cantante e stiate per incidere il primo disco che vi porterà ad avere fama e gloria.Per incidere la Master Copy dovete per forza di cose sostenere dei costi: costi economici per le apparecchiature e la sala prove, costi temporali connessi al tempo speso a provare e riprovare i pezzi, e via dicendo.L’insieme di questi costi sostenuti, necessari a realizzare la Master Copy, si chiama Costo fisso. È un grande costo per te e lo fai solo perché sei sicuro che grazie al disco diventerai ricco e famoso.Una volta prodotta la Master Copy, puoi iniziare a realizzare i dischi che andrai poi a vendere.
Incidere un disco, partendo dalla Master Copy ha un costo molto basso, quasi irrisorio. Questo costo si chiama Costo Marginale. A questo punto, dopo avere sostenuto un costo fisso necessario a produrre la Master Copy, ed un costo marginale necessario a produrre le incisioni del disco, inizi a venderlo ad un certo prezzo.
Grazie alla legge sul copyright nessuno ti può copiare quel disco, dunque vendendo le copie, in un certo periodo di tempo sarai capace di coprire il grande Costo Fisso inizialmente sostenuto e prima o poi arriverai a diventare ricco: coperti i costi, quello che rimane è il profitto.
Semplice no?
Se non ci fosse la legge sul copyright, domani chiunque potrebbe copiare il tuo disco e inizierebbe a venderlo ad un prezzo più basso di quello a cui lo vendi tu. Allora tu proverai ad abbassarlo, e l’imitatore farà lo stesso, via via fino a che il prezzo non sarà pari al costo marginale. Ossia un prezzo talmente basso che permetterà solo di ricoprire il costo necessario ad incidere la copia che verrà distribuita. Ma perché allora la legge sul copyright esiste, la gente copia comunque i dischi e l’industria della musica oggi vale sempre di più, ogni giorno che passa?
Dove sbaglia il ragionamento precedente? Molto semplice: il ragionamento precedente si basa sul semplice fatto che gli imitatori sono degli idioti! Ma come degli idioti? Per spiegare questa affermazione il professor Boldrini introduce un secondo concetto economico, e lo spiega in modo molto semplice.
Si tratta della Teoria dei Giochi a due Stadi. La teoria dei giochi a Due Stadi prevede che ci siano due giocatori: l’Inventore (tu, cantante) e l’imitatore (la persona che vuole copiare il tuo disco una volta che lo hai inciso).Ciascun giocatore può fare due scelte.Tu inventore puoi scegliere se incidere o non incidere il disco.Se non incidi il disco, non innovi e quindi il Gioco finisce.Se incidi il disco tocca all’imitatore decidere cosa fare. L’imitatore a sua volta ha due possibilità: può copiare o può non copiare il tuo disco.Se non copia il disco, tu avrai il monopolio della tua creazione: solo tu lo potrai distribuire e presto diventerai ricco e famoso! Congratulazioni! E se invece l’imitatore decide di copiare il disco?Se non ci fossero leggi sul copyright la farebbe franca. Ma le leggi ci sono. Dunque non può farlo.
Per risolvere un Gioco, si parte dal finale: in assenza di leggi sul copyright tu sai che se produci un disco (se produci innovazione), questo ti verrà copiato. Non potrai per tanto rientrare dei grossi investimenti che hai fatto (ricordi il Costo Fisso?), quindi non ti conviene innovare. Quindi a nessuno converrebbe innovare. Il mondo non avrebbe più nulla di nuovo.
La teoria economica riassume questo con due affermazioni: ”Il brevetto serve perché altrimenti l’innovatore non innova: in sua assenza gli imitatori gli impedirebbero di recuperare i costi fissi”.
Il prof. Boldrin sostiene che invece la realtà è un’altra, ossia che all’imitatore non conviene comunque copiare, a meno che egli non abbia un costo fisso pari a zero (nel caso in cui ad esempio ruba la Master Copy!). L’imitatore infatti, per prendere la tua Master Copy e iniziare a distribuirla (senza riconoscerti i meriti) non sostiene solo il costo marginale dell’incisione, ma sostiene anche lui un costo fisso. Sicuramente più basso del tuo, ma comunque un costo.
Il problema della teoria dei Giochi, applicata al mondo della proprietà intellettuale, è che si tratta di una teoria basata su ipotesi. Possiamo lasciare un tema così importante, sulla base di sole ipotesi? Una conclusione così importante deve valere sempre, non solo sotto determinate ipotesi. E l’ipotesi di fondo è: appena io innovo, l’imitatore mi imita. Subito, in tempo zero! La seconda ipotesi di fondo è che tu innovatore hai una capacità produttiva illimitata: sei in grado di produrre quante copie vuoi e sei quindi in grado di soddisfare tutta la domanda esistente.
Per spiegare meglio queste due ipotesi di fondo, il professor Boldrin fa un esempio ancora più semplice: siete a Pavia e in Strada Nuova ci sono due gelaterie, una all’inizio ed una alla fine. Entrambe esistono da sempre ed entrambe si sono sempre imitate e per questo vendono il gelato allo stesso prezzo (un prezzo marginale). Nella teoria dei Giochi, non appena la gelateria A alza il prezzo del suo gelato (esempio perché i suoi fornitori hanno avuto problemi), tutti, ma proprio tutti, non perdono tempo e corrono a mangiare il gelato alla gelateria B, che prontamente ha così tanto gelato da soddisfare tutta la golosità dei pavesi. Nella realtà non è così! Nella realtà, non solo la gelateria B non ha abbastanza fornitura per soddisfare tutti gli amanti del gelato che vivono a Pavia, ma in più il 20esimo cliente, vedendo tutta la fila che ha davanti, preferisce comunque spendere qualcosina in più e tornare nella gelateria dove non c’è più coda. (Oppure prima o poi il gelato della gelateria B finisce e quindi chi vuole gelato deve comunque ritornare alla gelateria A).
Un altro caso reale che smonta la teoria economica è quello del mercato degli smartphone.
Ora, non serve fare nomi, ma per un certo periodo di tempo, un famoso smartphone avente come logo una mela morsicata, ha detenuto per un certo periodo di tempo il monopolio. E inizialmente non ha potuto soddisfare tutta la domanda che c’era, perché impiegava del tempo per produrre i pezzi nuovi. Nel frattempo la concorrenza si è organizzata e se ne è uscita con prodotti simili e addirittura a prezzi più bassi. L’azienda produttrice del famoso smartphone con la mela morsicata è forse fallita? Ha forse abbassato il suo prezzo? No! Lo smartphone è oggi ancora in commercio con un prezzo alto (se paragonato al mercato) e l’azienda continua a fare profitti a non finire.
Nella realtà i brevetti non servono a mantenere una posizione di monopolio che ti permette di vincere sul mercato. Quello che ti permette di vincere sul mercato sono altri fattori, come ad esempio la capacità di uscire con prodotti sempre nuovi, la capacità di dare un buon servizio di vendita, la capacità di creare una buona reputazione attorno alla marca, e via dicendo.
E Napster? Quando Napster iniziò a essere famoso (parliamo degli anni ’90!), il professor Boldrin ed il professor Levine pubblicarono l’articolo “Why Napster is Right” (http://levine.sscnet.ucla.edu/general/intellectual/napster.htm) e fecero una previsione provocatoria: cosa succederebbe in un mondo “napsterizzato”? Spariranno le compagnie di distribuzione: se distribuisci in rete, a cosa servono i negozi? Spariranno anche le musical house (a meno che non si trasformino, fornendo un altro genere di servizio). E tu produttore potrai al massimo distribuire in proprio, a un prezzo alto, solo per i pochi appassionati che vivono per avere il tuo nuovo disco nel cofanetto argentato. Nel complesso però la tua distribuzione sarà fatta a costi marginali. Non ci guadagnerai nulla. Non rientrerai mai dei tuoi grandi costi fissi. Ma Napster avrà anche un altro effetto: farà ascoltare la tua musica a molte più persone. E creerà una domanda ancora più forte di beni succedanei e complementari: le magliette, il merchandising, i concerti dal vivo!
Tu innovatore guadagnerai meno dalle copie vendute, ma guadagnerai moltissimo da tutto il resto. Guardiamo a oggi quanti modi ci sono per ascoltare la musica senza pagare i diritti d’autore. Eppure la musica non è sparita. I produttori non hanno smesso di fare soldi, anzi! Ne fanno ancora più di prima. Solo che li fanno in un altro modo, non vendendo i dischi.
In sintesi, togliendo o attenuando la proprietà intellettuale, ad esempio riducendo la durata di brevetti o copyright, non si uccide l’innovazione, semplicemente si “obbliga” a pensare a modelli di business innovativi, quindi paradossalmente la si alimenta.
Non ultimo, l’innovazione diventa più accessibile (economicamente, e non solo) a molti, accrescendo ancora e ulteriormente i processi creativi.
Ne sono riprova quei settori dove la proprietà intellettuale ad oggi semplicemente non funziona non sono quelli meno innovativi (pensate alle web start-up). Anzi, al contrario sono fra i più creativi e dirompenti e dove si producono alti profitti. Invece, nei mercati dove sussiste un forte sistema basato sui brevetti, si finisce con il gonfiare a dismisura i guadagni di pochi big player a scapito di tutti gli altri attori dell’ecosistema (es. settore farmaceutico).
In un mondo ideale tutti hanno una quantità smisurata di beni che desiderano, e li vorrebbero al costo più basso possibile. Nel caso di Napster (e oggi attraverso altri sistemi, anche legali) gli utenti non sostengono più un costo per usufruire della loro musica preferita, dunque molte più persone potranno permettersi di ascoltare la loro musica preferita.La tua musica. E tu inventore, produttore del nuovo disco, ci guadagnerai comunque, perché le persone verranno ai tuoi concerti, compreranno le tue magliette.Solo ci guadagnerai un pochino di meno. Non sarai “schifosamente ricco”. Sarai solo ricco “il giusto”.
In economia (e questo è l’ultimo concetto teorico che il professore introduce) esiste la nozione del Costo Opportunità: il mondo ideale è un mondo in cui i prezzi sono svariati e la concorrenza è alta e ognuno porta a casa come reddito, il reddito sufficiente necessario a rendere soddisfacente il lavoro che svolge. Se sei un inventore, il tuo reddito ideale nel produrre una certa innovazione è un poco di più del reddito che avresti nel fare una cosa che invece non ti piace.
Madonna, la cantante, ha iniziato facendo la cameriera. Oggi guadagna milioni. Se all’epoca le avessero detto: “Purtroppo hanno tolto il copyright quindi invece di 100 milioni guadagnerai 2 milioni di dollari. Che fai accetti o ti continui a fare la cameriera?”. Lei cosa avrebbe fatto? Voi cosa avreste fatto? L’implicazione è evidente: dire che senza il copyright non avremmo cantanti del calibro di Madonna è una cavolata.
Il copyright nella musica, i brevetti nelle innovazioni e le leggi sulla proprietà intellettuale in generale sono di fatto quello che giustifica degli enormi compensi che vediamo nel mondo reale. Difficile dire se il prof. Boldrin abbia ragione. Di certo le sue argomentazione hanno acceso un interessante dibattito in sala e fatto riflettere in molti.
Noi come Activators Pavia non sappiamo se la cosa migliore sia davvero abolire la proprietà intellettuale, ma di certo ci è venuto un dubbio molto concreto ascoltando le parole del professore. Una cosa è certa: l’ipotesi di una profonda rivoluzione del sistema della proprietà intellettuale – un vecchietto di circa 500 anni – merita quantomeno di essere approfondita. D’altro canto, il “sistema dell’innovazione” non può pretendere di instillare negli altri il cambiamento se non è anzitutto disponibile a innovare se stesso.
PER APPROFONDIRE
Michele Boldrin è un economista italiano e docente presso la Washington University di St. Louis e da oltre dieci anni collabora, fra gli altri, con David Knudsen Levine. Nel 2012 hanno pubblicato “The case against patents”, intitolata in italiano “Abolire la proprietà intellettuale”. Il trattato cerca di spiegare che i brevetti non sono l’unico modo per aumentare innovazione e produttività, evidenziando, inoltre, gli aspetti negativi che hanno i brevetti e proponendo un rinnovamento radicale del sistema economico legato al mondo della proprietà intellettuale.
luca ballista – activators pavia