Il lago di Ragogna (foto Marco Pascoli)
Museo. Parola terrificante, vero? Suono che riporta alla mente tristi ricordi di grigie gite scolastiche in luoghi noiosi e deprimenti, accompagnati da guide antipatiche che parlavano a raffica nel vuoto. Segue poi tema in classe con le tue emozioni e impressioni.
Tagliate una bella riga sopra tutto questo e preparatevi a cambiare completamente idea. Perché in quel di un piccolo comune friulano, a poche pedalate di bici dalla San Daniele del Friuli del celebre prosciutto crudo, storia e potenza narrativa si intrecciano in un qualcosa di unico e prezioso. Che lascia a bocca aperta.
Mi trovo nel Museo della Grande Guerra di Ragogna, in provincia di Udine, situato al primo piano di un imponente edificio al termine della via principale. Lo si raggiunge dopo una serie di sali e scendi causati dalla strada non lineare, da quelle parti ricche di monti e colline, per entrare alla fine in quella che un tempo era una scuola elementare.
Salgo le scale, ammirando una serie di quadri moderni appesi alle pareti raffiguranti San Francesco d’Assisi. Un po’ mi chiedo cosa centrino con la Prima Guerra Mondiale, dato che il santo visse nel Medioevo, ma alla fine la mia attenzione è tutta per un oggetto del museo a dir poco affascinante.
É la bicicletta dei bersaglieri. «L’abbiamo esposta fuori in occasione del Giro d’Italia, quando è passato da queste parti» mi racconta la guida, una signora che non si ferma mai, nonostante sia da ore al lavoro e manchi poco alla chiusura. Mi prende sottobraccio dopo aver finito il tour con un gruppo precedente e ricomincia, implacabile senza fatica.
Lì dentro sento parlare le lingue più diverse: inglese, tedesco, l’immancabile friulano e perfino accento bergamasco. Sarà che quest’anno ricorre il secolo dallo scoppio del Conflitto, già nel vivo in Friuli poiché lì metà regione era dell’Impero Asburgico e quindi iniziò a combattere nel 1914, ma la Grande Guerra attira visitatori da ogni dove.
Va detto che il Museo di Ragogna non è nato ieri, cavalcando l'”onda” del centenario di questo orribile bagno di sangue europeo. Tutto ebbe inizio per caso, durante una scampagnata sul Carso in famiglia, alla ricerca di un minerale. Me lo racconta la stessa guida, poiché lei quel giorno c’era: con suo marito e suo figlio si imbatterono in una cascina abbandonata, stretta e buia. Marco, il suo bambino, entrò dentro e dopo un po’ uscì entusiasta, con un elmetto militare in mano. «La mezz’ora più lunga della mia vita» ricorda la donna, il sorriso stretto tra le labbra. E fu solo l’inizio.
Dal Cret dal Lour verso la Valle del Tagliamento (foto Marco Pascoli)
Oggi Marco Pascoli ha 29 anni, è assessore alla cultura a Ragogna e ha pubblicato 17 libri sulla storia. Oltre ad essere l’ideatore e curatore del Museo. «Vuole diventare uno storico» continua sua madre, e a guardare tutto quello che contiene quel luogo è sicuramente sulla via giusta.
Nel 2007 l’Unione Europea avviò il progetto INTERREG III, mettendo a disposizione fondi per idee italiane e austriache, e Pascoli propose il suo museo. Tra 32 progetti, il suo arrivò ottavo e ottenne il via libera per i finanziamenti. Una parte la fece anche la regione Friuli-Venezia Giulia e lo Stato, andando a costruire non chissà dove, ma in un punto che si era rivelato decisivo per la guerra in Italia.
Dopo la disfatta di Caporetto, infatti, le truppe e la popolazione che stavano oltre il fiume Tagliamento fuggirono dall’avanzata nemica, oltrepassando il corso d’acqua che oggi segna il confine tra la provincia di Udine e quella di Pordenone. Soltanto la brigata Bologna, spedita dal generale Cadorna per ritardare gli austriaci, avanzò dalla parte opposta verso il monte di Ragogna. Il loro compito era resistere il più possibile, in modo che l’esercito italiano potesse riorganizzarsi sul fronte del Piave, e così gli invasori dovettero aspettare 5 giorni prima di poter proseguire. I valorosi sopravvissuti furono spediti in un campo di prigionia a est, dove morirono tutti di stenti, dopo che il generale Otto von Below gli diede l’onore delle armi davanti al Duomo di San Daniele.
Com’è andata a finire oggi lo sappiamo tutti, con i relativi lutti che hanno distrutto l’Europa negli anni seguenti. Ma ripercorrere quegli anni, i costumi e gli stili di vita che esistevano all’epoca è un qualcosa di incredibile perché a Ragogna sono raccontati dalla “voce” dei protagonisti. Ci sono le sciabole degli ufficiali asburgici, gli strumenti quotidiani dei contadini friulani, i ricordi di famiglie intere che rivivono dietro la teca e parlano una lingua forte, che deve farsi ascoltare per far sì che un domani non debba esistere alcun museo della terza guerra mondiale.
Magari è utopia, la guerra esisterà fino a quando ci sarà l’uomo, ma se il passato è già scritto, il futuro è tutto da colorare.
timothy dissegna
scorrendo l’articolo, si ha subito l’impressione di trovarsi davanti a persone scevre da ogni forma di ideologia e appassionate alla storia. Parlare della sconfitta di Caporetto non è facile, conosco poche persone che lo hanno fatto senza incorrere in prese di posizioni partigiane per sostenere le loro tesi, sia pro che contro gli austrotedeschi.