Il tam tam mediatico del progetto “Eccellenze in Digitale”(www.eccellenzeindigitale.it) è iniziato: la provincia di Pavia, insieme ad altre 51 capoluoghi italiani, è protagonista di questo programma per la diffusione di best practice di tipo digital. Dal 1° di Settembre infatti, 107 giovani borsisti, per sei mesi, avranno il compito di supportare le aziende piccole e medio piccole italiane che operano nei vari settori caratterizzanti i prodotti artigianali Made in Italy.
Nello specifico, la Provincia di Pavia sarà impattata in alcuni dei più importanti settori territoriali: la filiera calzaturiera vigevanese (calzature e comparto meccanica per la produzione di calzature), il Paniere Pavese (progetto agrofood) e l’artigianato Orafo di Mede.
L’iniziativa consiste in attività di affiancamento per tutto ciò che riguarda l’innovazione e il marketing digitale per fare impresa. Il progetto è promosso da una big come Google, mentre è di Unioncamere la supervisione all’intero progetto nazionale. Questo s’inserisce all’interno della campagna e-Skills for jobs, della Commissione europea, con il patrocinio del Ministero dello Sviluppo Economico. A seguire nel concreto il progetto, presso l’Azienda Speciale PaviaSviluppo, saranno due figure junior nate e formate nell’ateneo pavese presso la facoltà di economia: Luca Ballista e Salvatore Trotta.
È una grande opportunità per le aziende pavesi il fatto che Google Italia e Unioncamere abbiano visto un potenziale nel tessuto imprenditoriale pavese e su di esso abbiano deciso di dedicare delle risorse. Per capire come mai questo è avvenuto abbiamo dovuto parlare con Luca e Salvatore, per farci raccontare gli obiettivi e le loro aspettative per i prossimi sei mesi, nell’intraprendere rapporti con le aziende artigiane pavesi.
Abbiamo avuto modo di capire che lo scopo di questo progetto non è legato alla realizzazione di interventi consulenziali presso le aziende, bensì l’intento è di portare una nuova cultura tra gli imprenditori. Possiamo incolpare la crisi, i mercati emergenti o tirare fuori centinaia di migliaia di motivi per cui le aziende italiane hanno seri problemi in questo momento storico, ma fermiamoci un secondo a guardare un semplice dato di fatto legato al panorama imprenditoriale italiano: in Italia ci sono 4 milioni di piccole e medie imprese. Queste aziende producono il 70% del fatturato del paese e danno lavoro all’80% degli occupati del nostro paese. (Fonte: BCG). Stiamo parlando di una responsabilità enorme affidata ad una marea di aziende (spesso ditte individuali) la cui stragrande maggioranza non ha nemmeno 10 addetti (nella provincia di Pavia la media scende a 5). Se vogliamo che il paese torni a crescere, se vogliamo che il PIL nazionale salga e che il livello di benessere aumenti dobbiamo convincerci che il motore di questa ripresa può venire solo dalle performance di questi tanti, piccoli attori.
Un secondo dato di fatto molto importante è il seguente e riguarda la relazione tra incrementi di fatturato e presenza online. Sempre secondo BCG negli ultimi 3 anni, il fatturato complessivo delle PMI “online-attive” (che utilizzano lo strumento web in forma organizzata e strategica) è cresciuto dell’1,2%; viceversa il fatturato delle PMI che sono “offline” è diminuito in media del 4,5% sempre nello stesso periodo. Se a questo aggiungiamo che nel 2014 il 25% dello Shopping in Europa, è avvenuto online viene semplice trarre la seguente conclusione: le aziende che sono capaci di includere nella propria strategia aziendale un presidio dei canali digitali per condurre il proprio business online sono le aziende destinate ad aumentare i propri fatturati, sia nel breve che a maggior ragione nel lungo periodo.
Negli ultimi tempi si è fatto un gran parlare di “digitalizzazione”: l’agenda digitale, la digitalizzazione nelle scuole, le smart cities. Sembra quasi che “digitalizzarsi” è un interruttore, che prima era spento e all’improvviso viene schiacciato. Di colpo la digitalizzazione si accende e quindi le persone sono digitalizzate, le città sono digitalizzate, le imprese sono digitalizzate.
È vero quando si afferma che un paese digitalizzato ha maggiori probabilità di crescita, ma non dobbiamo dimenticare che la digitalizzazione è un processo culturale che parte dal basso e non un’azione che si decide a tavolino e si cala dall’alto. Ha senso che un Comune usi Twitter per comunicare con i suoi cittadini, se nessuno di questi cittadini ha un account Twitter? Ha senso provare a digitalizzare ogni cosa in Italia se poi le persone, gli utenti, non conoscono il mondo digital? Quando si sceglie di introdurre un’innovazione, la prima cosa è assicurarsi che la gente capisca l’innovazione stessa: essa infatti, per essere tale, deve essere compresa e ritenuta utile dalle persone a cui essa è destinata.
Ritorniamo alle aziende italiane: abbiamo detto che sono tante, abbiamo detto che sono piccole e sappiamo che non stanno passando un bel periodo. Google registra un trend di ricerca (domanda) di anno in anno crescente verso tutto ciò che è “Made In Italy”. Allo stesso tempo pochissime di queste aziende (solo il 13%) si propone in maniera corretta al business online (offerta). La maggior parte invece ha una presenza online irrisoria, non parliamo di sito e-commerce per vendere i propri prodotti bensì di semplici vetrine che educhino il visitatore al prodotto/servizio offerto e gli garantiscano una user experience minima.
Abbiamo un patrimonio di eccellenze artigiane che non comunica la sua esistenza al mondo intero e si limita ad operare nel suo limitato mercato domestico. Perché in tutti questi anni le aziende non si sono evolute imparando a sfruttare modi innovativi per fare marketing e procacciarsi clienti? La domanda potrebbe avere mille risposte, la nostra personale è questa: cultura.
Guardiamo alla storia del comparto calzaturiero di Vigevano e all’orafo di Mede (gemmazione del distretto di Valenza). Sono aziende nate durante il boom degli anni ’60-70 e li sono rimaste fino ad oggi. Parliamo di aziende guidate da imprenditori “tecnici” ovvero ex artigiani che sono cresciuti scalando il modello in chiave industriale. Si dice in questo caso che l’azienda ha un orientamento “al prodotto” (io produco, prima o poi qualcuno compra). Con questo sistema le aziende sono andate avanti, alla grande all’inizio, ma ad oggi sono in totale crisi.
Nel frattempo le attività dei padri venivano cedute alle generazioni di figli e nipoti, ma a causa del vincolo di parentela, in molti di questi casi si sono mantenute strategie imprenditoriali e stili manageriali ormai obsoleti. Il digital è oramai qualcosa di pervasivo delle nostre vite e se questi imprenditori non lo conoscono è perché c’è stata, tutto sommato, una certa ottusità e poca vision. L’innovazione che ha portato il mondo digitale nel fare business non ha implicazioni squisitamente di tipo tecnico bensì impattano la filosofia stessa dell’azienda.
Detto questo come possiamo immaginare che dall’oggi al domani la nuova, ma vecchia dentro, generazione di imprenditori adotti strategie aziendale e modus operandi così innovativi? La risposta la conosceremo da qui a sei mesi.
Comunque i presupposti di questo progetto sembrano buoni, infatti piuttosto che mettere a disposizione aiuti o incentivi alle aziende per adottare strumenti digitial, si è preferito puntare sulla creazione di consapevolezza. Con questo progetto gli imprenditori hanno un’occasione preziosa: due persone gratuitamente disposte a capire la filosofia dell’azienda e le sue dinamiche per realizzare un passaggio di conoscenze.
Luca e Salvatore dovranno impegnarsi al massimo nei prossimi sei mesi per far capire agli imprenditori pavesi le opportunità, i benefici e le logiche che possono sfruttare dall’avviare un processo di digitalizzazione del proprio business. Solo creando cultura potremo avere un paese digitalizzato e fatturati, PIL e benessere verranno di conseguenza.
claudia magagni