Dici regia e ti vengono subito in mente grandi nomi come Fellini, Pasolini e Zeffirelli. Questi sono solo alcuni dei grandi personaggi della cinematografia, poi c’è il teatro con i suoi giganti: da Alfieri a De Filippo, passando per Pirandello e Verdi. Dopotutto in Italia il teatro è rinato con le grandi opere del ‘700 che rivoluzionarono l’arte del palcoscenico e portarono il bel paese a essere il punto di riferimento in tutta Europa. Pertanto si potrebbe pensare che anche la regia – quella che poi si è evoluta nel tempo per arrivare ai moderni Bellocchio, Salvatores, Mazzacurati – sia nata in Italia… e invece no!
Lo ha spiegato abilmente il Prof. Quazzolo, docente di Storia del Teatro all’Università di Trieste, nel corso di un’interessante lezione “di prova” dello scorso 24 ottobre, in occasione della giornata di scuole aperte dell’ateneo (così da presentarlo agli studenti dell’ultimo anno di superiori).
La regia nacque in Germania, precisamente nel Ducato di Saxe-Meiningen (Turingia), nella seconda metà dell’Ottocento. Era l’età del Naturalismo, diffusissimo in Francia e Inghilterra, o del Verismo come sarà conosciuto in Italia: tali “correnti” prevedevano un approccio scientifico al mondo. Una visione dell’insieme schematica che ben si adattava alla società tedesca e che riportava la verità esterna, con realismo, sul palcoscenico.
In Italia, invece, la tradizione era troppo legata al grande attore, l’uomo che attirava su di sé tutta l’attenzione del pubblico, e ciò fu di non poca resistenza allo sviluppo della regia. Comunque sia, il mestiere del regista arrivo anche quaggiù, però solo dopo 70 anni. Ma perché lo sviluppo della regia ha trovato terreno fertile proprio in Germania? “Nasce quasi come un’equazione matematica” ha spiegato Quazzolo. In effetti, la spiegazione diventa automatica pensando che all’epoca i più grandi filologici – ossia coloro che ricercano le origini di una determinata opera (già presenti dal Rinascimento) e che inevitabilmente sono custodi di una cultura grandissima – erano proprio tedeschi. Come loro, i registi riportavano alla scrittura originale le sceneggiature mutate nei secoli, per adattarle alle esigenze del contesto o degli attori, come in Italia.
Dietro alla regia c’era, quindi, un attento studio del testo. Per questo i primi “maestri” appartenevano proprio al mondo della cultura: erano intellettuali e responsabili dell’interpretazione del testo, supervisionavano il lavoro, dirigevano le prove e coordinavano il lavoro dei propri collaboratori.
Abbiamo usato il tempo passato per descrivere queste mansioni, ma dopotutto ancora oggi il regista ha gli stessi compiti: il passaggio dal teatro (all’inizio non esisteva il cinema o la televisione) ottocentesco a quello più contemporaneo è questione di attimi. Delineate le coordinate storico-temporali, bisognerebbe ora parlare un po’ di più di questa nuova figura neonata.
Ecco quindi che l’attenzione si sposta sull’interpretazione, parola chiave nel teatro. È la visione dei fatti, “rende chiaro ciò che non lo è” ha spiegato il professore. Praticamente è il passaggio in cui il regista attribuisce un significato al testo drammatico, suo o di altri, che porterà in scena e mette in moto l’attività critica. Ma non va assolutamente associata alla fantasia, su questo Quazzolo è stato chiarissimo. Chi dirige lo spettacolo è immerso nella società, ne è condizionato, volente o nolente, e ciò si riflette sulle soluzioni che adotta nella propria opera.
Stesso discorso è rivolto al pubblico: anche lui interpreta, legge lo spettacolo messo in scena a seconda del proprio pensiero. È colui con cui si deve confrontare il regista, per “vendere” il frutto del suo lavoro, cosa sempre più diffusa dall’epoca del Naturalismo fino ad oggi, dove l’arte si limita in certi casi a futile merce.
La nota conclusiva della lezione si è incentrata su come uno spettacolo risulti più o meno interessante agli spettatori. Il motivo di fondo risiede nella disponibilità o meno di un budget sostanzioso, che permetta l’uso di scenografie efficaci, attori di livello e contribuisca all’organizzazione in generale. Paradossalmente “gli spettacoli più interessanti sono quelli frutto di portafogli scarsi” ha commentato Quazzolo, poiché i registi sono costretti a ricercare soluzioni nuove e accattivanti.
I soldi non fanno la felicità e nemmeno il teatro (o almeno non più di tanto). Bisognerebbe ricordarlo un po’ a tutte quelle compagnie teatrali che vivono con difficoltà questa crisi economica: dal nulla può crescere una foresta. Anche se la regia è nata in Germania, in Italia può benissimo tornare a nuova vita e riportare nuovo ossigeno a quest’arte antica che è il teatro.
timothy dissegna