Nella vita, punti fermi ce ne sono ben pochi. Vuoi il mondo che cambia senza sosta, vuoi la difficoltà dell’essere umano in sé di trovare appigli in un mare della vita sempre più piatto e anonimo; fatto è che spesso e volentieri ci ritroviamo smarriti, completamente persi e immersi in un buio che avvolge, senza vie di scampo.
Sembra quasi di viverla, quella scena. Lui, in piedi, illuminato dal proprio splendore, mentre con il dito puntato indica verso sinistra, là in fondo. Anche l’altro uomo, accanto a lui e di spalle, compie lo stesso gesto, tenendo però il braccio più vicino al corpo. Una luce, nessuno sa da dove, colpisce la scena, delineando i tratti di quella rozza taverna in cui si trovano.
Dall’altra parte, sotto la luce, un gruppo di uomini guarda con curiosità i nuovi arrivati. <<Come diamine sono vestiti? Sono barboni!>> sembra pensare uno, vestito di nero e seduto di schiena. E’ il più vicino ai due, si tiene duro quasi come se stesse per cadere dallo sgabello per lo stupore. Di fronte a lui, dalla parte opposta del tavolo, un ragazzino con i capelli rossicci li fissa con fare meravigliato, ma molto più contenuto rispetto al compare. Se ne rimane seduto comodo, non turbato più di tanto, appoggiandosi sul braccio di un uomo alla sua destra.
Oltre questi tre, i raggi luminosi provenienti da destra terminano su una coppia molto più presa dal contare le monete sul tavolo che ad accorgersi di quanto accada nella stanza. Chini sui soldi, sono fantasmi oltre i quali la luce s’infrange su una seggiola di legno, per spegnersi infine nell’oscurità fredda e onnipresente.
E’ una scena strana, surreale. Dall’unica finestra presente, sporcatissima di polvere – accumulata dal tempo e dall’incuria -, non passa alcun filo di luce. Tutta quella presente proviene da destra, fuori dalla vista, come se qualcuno avesse deciso di proiettare un faro da quella direzione, senza essere visto da nessuno. E Lui, con quella mano tesa in avanti e così familiare, già vista, illuminato nel volto nonostante attorno regnino le tenebre… Chi indica? Perché?
E’ l’anziano al centro a destra, su cui si appoggia il ragazzo, la chiave del mistero. Lui è toccato direttamente dalla luce, è la persona scelta dalla coppia in piedi a sinistra. La sorpresa gli riempie gli occhi, mentre incredulo si domanda <<Io? Perché io?>>. È un esattore delle tasse, probabilmente in quella rozza taverna per giocare a carte i soldi appena presi a famiglie, sventurati, poveracci.
Uno detestabile, insomma, vestito bene come si conviene a un uomo del suo tempo. Ma Cristo, incoronato dall’aureola, sceglie comunque lui, con lo stesso gesto compiuto dal Padre verso Adamo: lo vuole toccare, trasmettergli il messaggio per cui è entrato in quel posto sporco e lercio:<<Vieni con me, Matteo>>.
Ammirare la “Vocazione di San Matteo” di Caravaggio è un terremoto che scrolla di dosso ogni certezza. Capisci chi sono quegli uomini in piedi a sinistra, ma chi indicano? Sono così estranei a quella bettola, vestiti come duemila anni fa, in mezzo a uomini del ‘600 e chiunque dei presenti potrebbe essere il destinatario del loro annuncio: un giovane, un ricco avaro, un ragazzo chino sui soldi… Invece è un signore, in avanti con gli anni, a ricevere Cristo. Si indica sorpreso, perché non ha meriti, toglie anziché donare, e invece…
Con il suo straordinario genio artistico, Caravaggio spegne con un colpo di pennello i grandissimi nomi del Classicismo, amanti del colore e della luminosità, per accendere la propria tela, dipinta per il cardinale Cointrel a Roma alla fine del XVI secolo e oggi custodita nella chiesa di San Luigi dei Francesi, con il “sole nero” che contraddistingue questo artista eccezionale.
Oscurità e luce convivono in un gioco di contrasti, facendo cadere lo spettatore in un oblio d’incertezza. Ti senti perso, non capisci chi è il protagonista dell’opera, chi è e dov’è San Matteo, mentre l’oscurità si insinua tra le pieghe del pensiero, silenziosamente.
timothy dissegna