Tutto iniziò quando, per la prima volta, fui in difficoltà sulla band che avrei dovuto intervistare. Come spesso accade, dopo un inizio amatoriale e un periodo di assestamento, le iniziative fanno un passo avanti e si espandono. Così, ormai infranto il meccanismo mensile della rubrica, infranto pure il limite di battute (più volte), mi ritrovo a voler approfondire come mai prima d’ora. Carlo Mazzoli dei Dead Bouquet non ha neanche bisogno di saperlo, si lascia andare e io registro velocemente tutte le sue parole…
Spirito Giovane: «Coraggiosi o giovani – nel senso di innovativi?».
Carlo Mazzoli: «Coraggioso perché penso che l’innovativo, il rompere gli schemi, non trova quasi mai un principio autentico, nel nostro paese; tanta musica che viene proclamata come “innovativa” in realtà si fregia dell’aggettivo solo per una scelta di marketing. Secondo me la rottura vera è uno sconvolgimento estremo, bisogna essere totalmente fuori dagli schemi. Ciò non vuol dire che io veda il nostro disco come un insieme di sonorità classiche, ma che è difficile essere innovativi nel vero senso della parola. È anche difficile venir fuori con qualcosa senza compromessi, senza trend, per questo dico che è coraggio. L’approccio che ho alla scrittura è classico, quello sì. La solidità del disco forse è quella: inseguo le mie canzoni da tempo, nel tempo le ho curate, a volte per anni. Mi considero un cantautore in una band. Poi dal vivo le canzoni senti che funzionano e sono coinvolgenti e non vuoi buttarle via quando le incidi. Il non buttarle vie è stato proprio scegliere Paul Kimble (Grant Lee Buffalo, Velvet Goldmine OST, Luna…, ndr) per registrazioni, produzione e missaggio e Joe Gastwirt (nominato al Grammy per il suo remastering di “Pet Sounds” dei The Beach Boys e già collaboratore di Bob Dylan, Tom Petty, Grateful Dead, Pearl Jam, Neil Young…) per il mastering; poi magari i prossimi CD saranno differenti, per carità! Però quando sarai vecchio e ti guarderai su uno scaffale (perché su quel CD là sopra c’è il tuo nome!)… beh, io credo che con As Far As I Know abbiamo ottenuto questo – e in aggiunta una crescita artistica che consiglierei a tutti i musicisti».
Spirito Giovane: «Ecco. Kimble e Gastwirt. Come avete fatto, non so se chi ci legge sa ma sono dei piccoli mostri sacri per chi li conosce…».
Carlo: «Io sono un fan di Kimble e della sua band (Grant Lee Buffalo, ndr) da anni. Mio fratello li ascoltava ed erano dei miti già allora. Poi quando ho trovato una base solida dalla band con l’arrivo di Daniele Toti, che è stato una svolta in assoluto, il trio girava bene e io l’ho buttata lì: gli scrivo su internet e spero nel fato. Il fato ha voluto che mi desse retta! Ho scoperto solo dopo che era un gran fan dell’Italia, che non ritornava qui da quasi 15 anni e questo ha spinto molto la collaborazione».
Carlo: «Poi la collaborazione vera e propria è stata ancora più semplice! Quando sono arrivato all’aeroporto a prenderlo pensavo di rimanere in panne. Poi invece abbiamo scherzato subito come amici di vecchia data; lui ha perfino cucinato per me quella sera (perché è anche un cuoco)! La mattina dopo mi aspettavo una persona più complessa, invece ha lasciato suonare la band intervenendo solo con punti di svolta. Stare semplicemente dietro al bancone ha inciso molto; a noi quasi non sembrava di registrare. A me piace maggiormente suonare dal vivo e l’impressione era quella».
Spirito Giovane: «Non c’era la freddezza del take…».
Carlo: «Ecco, sì, con lui non succedeva! Spesso in Italia le take vengono fatte più volte e riprese, mentre all’epoca in cui abbiamo registrato, Kimble ci diceva che le take erano buone e noi non ci credevamo all’inizio; poi sentendole percepivamo una sorta di tranquillità che ci facilitava la registrazione. Kimble ha dato quell’apporto che da fan mi aspettavo, ma che comunque, anche da fan, mi ha stupito».
Spirito Giovane: «Il disco è notevole, impressionante per un esordio. Ma è davvero un esordio?».
Carlo: «Abbiamo provato a lanciare un demo anni fa, ma credo sia stato ascoltato solo da Paul Kimble. Non sono fan dei demo perché credo che sia necessario approfondire meglio il sound; oggi c’è questa volontà di velocizzare l’ascolto e la fruizione della musica, quando in realtà approfondire sarebbe la cosa giusta».
Spirito Giovane: «Quanto al genere? Molti miei intervistati non amano le etichette».
Carlo: «Forse anche noi non cerchiamo etichette, però vuoi o non vuoi, in un mondo in cui tutto è catalogato per forza di cose, ti devo citare: il folk, il rock americano e alcuni elementi di genere psichedelico. Ti direi questo, una band folk-rock psichedelica; però ci sono influenze nel disco che, agli ascoltatori, fanno venire in mente vuoi Nick Cave vuoi Pink Floyd, vuoi gli stessi Buffalo. Noi nel trio lo nominiamo folk-rock notturno. È un mood oscuro, che però non è dark, né tristezza… pochi slanci solari forse, ma è notturno l’aggettivo».
Spirito Giovane: «A proposito: il trio è stato voluto?».
Carlo: «L’idea del trio era una volontà che avevo da vecchia data. Volevo suonare in un trio dove poter sfruttare la 12 corde, che è uno strumento che riempie moltissimo, soprattutto distorta va difficilmente d’accordo con altre chitarre. Ci sono stati cambi di formazione, ma la quadra e il sound è venuto con l’arrivo di Daniele Toti al basso. Al tempo del disco alla batteria c’era Fabio De Angelis, batterista che conoscevo da tempo; dopo l’album abbiamo deciso di prendere strade diverse. Poi ho conosciuto in un pub Alberto Croce e dopo qualche tempo abbiamo ufficializzato la cosa».
Spirito Giovane: «Però da quanto ho visto l’album viene pubblicizzato come duo».
Carlo: «Quando abbiamo deciso di dividere le strade con Fabio, il sostituto alla batteria non c’era ancora; abbiamo un poco rischiato, più che altro per tenere alto l’ideale dietro la band. Poi m’è venuto in mente Alberto, a cui è piaciuto molto il disco; poco dopo siamo riusciti ad ingranare. A Perugia abbiamo suonato ancora con Fabio De Angelis, per con Alberto abbiamo fatto già delle date tra Svizzera e Francia con lui; è il batterista ufficiale».
Spirito Giovane: «Il futuro del vostro trio?».
Carlo: «Beh, siamo sempre rintracciabili su Facebook, che è la pagina che sfruttiamo di più per raggiungere le persone; poi BandCamp, dove c’è l’album in streaming e anche è possibile l’acquisto. Poi tutto il resto, da Soundcloud a Spotify. Come concerti, dobbiamo suonare verso Maggio nella zona di Salerno e prossimamente anche Roma e al nord. Dobbiamo girare un video per la traccia A Night On A Red Sofa e poi in autunno faremo un altro tour, spero più grande. Un altro disco? Spero presto e maturato».
Questa è una delle interviste che si scrive da sé, me lo dico spesso rivedendo gli appunti. La stessa facilità nell’organizzare le cose dette, la bellissima quantità di espressioni che il mio interlocutore ha usato e la profondità toccata… vorrei dire di essere stato profetico quando, dopo aver ascoltato il CD, ho detto a Frank: «Nevermind, so chi intervistare. Questi vanno forte…».
Per quanto ne so, in effetti, non c’è alcuna obiezione valida a queste mie parole.
spirito giovane