Visto da fuori sembra un palazzo come tanti, se non si presta attenzione potrebbe essere perfino un condominio. Passeggiando a Udine per piazza del Patriarcato, un piccolo spazio a metà tra la grande piazza Primo Maggio e il Teatro Nuovo Giovanni da Udine, ci si imbatte in un portico senza tante pretese che, a prima vista, non rappresenta nulla di straordinario. Siamo vicini al maestoso Palazzo Belgrado, sede della Provincia, e verrebbe da pensare che il posto non sia altro che un’entrata secondaria. Ma una targa risolve ogni dubbio: Palazzo Arcivescovile, sede del Museo Diocesano e delle Gallerie del Tiepolo.
Entrare in questo luogo è come visitare il cuore storico della cittadina friulana, legato non solo a lei, ma all’intera regione e dal passato antichissimo: correva l’anno 1077 quando l’Imperatore Enrico IV e Papa Gregorio VII entrarono in conflitto per ragioni politiche. Quest’ultimo scomunicò l’Imperatore e, dopo essere stato perdonato dal pontefice, ritornò in Germania poiché i principi tedeschi, approfittando dei contrasti a Roma, lo avevano sostituito. Ma ogni via gli fu bloccata dai Signori dell’Alta Italia, tranne quella passante per il nordest, attraverso i territori del Patriarca di Aquileia (oggi in provincia di Udine), Sigeardo.
Grazie alla fedeltà dimostrata, Enrico IV donò al Patriarca, all’epoca solo autorità religiosa e in passato già suo Cancelliere a corte, i possedimenti feudali di buona parte del Friuli odierno. Nacque così lo Stato Patriarcale della Patria del Friuli, di cui Sigeardo divenne anche capo del governo. Un unicum in tutta Europa, che possedeva un proprio Parlamento a cui partecipavano tutte le classi sociali e che vantava una certa autonomia rispetto al potere centrale, destinata a durare fino al XVII secolo, con l’espansione veneziana nell’entroterra. Ma la collocazione del Palazzo è datata nel corso del 1600, quando i patriarchi vi si trasferirono qui dal Castello.
Camminando nel Salone d’Onore, prima tappa nel tour dell’importante edificio, i nomi dei grandi artisti che hanno lavorato lì riecheggiano dalle pareti. Persone come l’architetto Domenico Rossi, chiamato nel 1708 da Domenico Delfin, colui che impreziosì il palazzo come mai prima di allora, e che realizzò lo scalone d’onore che collega ai piani superiori del museo. Le prime stanze che visitiamo sono legate all’arte del territorio, più che alla storia in sé del Patriarcato: decine e decine di statue, intagliate meravigliosamente nel legno, ripercorrono la Storia dal Medioevo fino al Barocco e Roccocò, provenienti dalle chiese di tutta la provincia. Dopo il terremoto del 1976, infatti, ci fu un lavoro enorme per salvaguardare le opere ritrovate, collocando nel palazzo un laboratorio di restauro che ancora oggi non smette di impegnarsi su questo fronte.
Fin da subito, a colpire è la straordinaria tecnica con cui le opere furono realizzate. Come il colore della veste di Sant’Eufemia, statua alta più di un metro e con le vesti colorate di vero oro! Il percorso continua, in evoluzione stilistica attraverso i secoli, tanto da passare a un Manierismo con la Madonna che allatta il proprio bambino, una cosa che desterebbe scalpore perfino oggi. Il 1700, poi, rappresenta l’eccesso della finzione: le statue sembrano di marmo da tanto lucide che sono, mentre in realtà sono in legno e l’occhio viene ingannato dall’artificiosità incredibile del colore. In poche stanze sono raccolte opere dal valore storico inestimabile, un vero gioiello nel cuore udinese. Ma il meglio deve ancora arrivare.
Una tortuosa scala a chiocciola anticipa una delle stanze più suggestive del palazzo. Simboleggia il percorso tortuoso dell’uomo per raggiungere la cultura, ci dicono, e fu voluta dallo stesso Delfin come ingresso per la sua…biblioteca! Quando vi si entra, dopo essersi persi con lo sguardo ad ammirare l’affresco sul soffitto, in cima all’ultima rampa di scale, non si può che rimanere a bocca aperta. Migliaia libri antichissimi riempiono gli scaffali su tutte le pareti, testimonianza viva e concreta di un passato per nulla provinciale come fu quello di Udine. Non si sa dove guardare, perché ogni angolo è prezioso, raccoglie un particolare unico. Divisa su due piani, la biblioteca fu inaugurata nel 1711 e fu la prima ad essere aperta al pubblico, raccogliente oggi 11 mila volumi: in una stanza, ci indica la guida, sono ancora raccolti i libri proibiti di Delfin.
Lasciato questo luogo incredibile, si entra nella prima di tante stanze dedicate alle attività politiche e private del Patriarca. Una ricchezza immensa di oro, marmi e stucchi splende attraverso i corridoi, mentre dipinti di celebri pittori si alternano sulle pareti: ci sono le grottesche di Giovanni da Udine, allievo di Raffaello e con lui uno dei primi a visitare la Domus Aurea di Nerone quando venne scoperta, ma soprattutto gli affreschi immensi di Giambattista Tiepolo, artista legato indelebilmente alla città poiché qui il suo stile maturò. Il pittore veneto fu a Udine nel 1726 e nel Palazzo dipinse, tra gli altri, “Il giudizio di Salomone” nella Sala Rossa, anticipata (o seguita, dipende da dove si proviene) da una stanza completamente d’oro e stucchi, con lo stemma dei Delfin gigantesco in primo piano.
Proseguendo, non si può fare a meno di rimanere a bocca aperta e con gli occhi puntati sul soffitto, intenti ad ammirare lo stupendo panorama dei colori e delle forme. Oltrepassata la Sala del Trono, ecco quella degli Ospiti con il ciclo dedicati ai patriarchi d’Israele, realizzati sempre dal Tiepolo con l’aiuto del quadraturista emiliano Gerolamo Mengozzi, artefice dell’architettura dipinta sulle pareti ma così reale da sembrare tridimensionale. Una caratteristica propria del Tiepolo, tanto che la visita si conclude con l’affresco “Caduta degli angeli ribelli” (1726-29), dove la mano di uno dei reietti sembra veramente prendere vita e precipitare verso lo spettatore. Il tutto a pochi passi dall’ingresso degli appartamenti dell’Arcivescovo udinese, ancora residente in questa dimora.
Definire “provinciale” il patrimonio artistico e storico di una piccola cittadina è un comportamento troppo superficiale. Questo luogo, infatti, non solo accoglie ogni giorno visitatori da tutto il mondo (durante il nostro tour, tanto per dire, ci siamo imbattuti nell’ambasciatore israeliano!) ma rappresenta la memoria storica del Friuli. Il Palazzo del Patriarcato va visitato almeno una volta, se si passa per questo angolino di Nordest: per scoprire una realtà unica, che non conosce tempo e continua a incantare.
timothy dissegna