“Veduta di Pavia” di Bernardino Lanzani, 1522. Chiesa di San Teodoro.
Si racconta che un tempo esistesse una donna, una strega, che abitava in una baracca sulla riva del Ticino, nascosta dagli alberi che in quel tempo infestavano le sponde del fiume. La donna usciva solo di notte per andare alla ricerca di erbe e radici con le quali confezionava gli infusi di felicità. Vecchia e brutta, zoppa e strabica, la sua vista produceva un senso di paura, eppure qualcuno andava a cercarla. Donne o ragazze che si recavano da lei perché insegnasse loro il sistema per mantenersi giovani o di trovare un marito, oppure erano giovani uomini poco intraprendenti che le si rivolgevano perché li aiutasse ad accendere il cuore di qualche ragazza ritrosa. In questi casi la vecchia strega vendeva i propri infusi.
Ogni tanto, però, arrivava anche qualche pavese di alto rango, di quelli chiamati dal popolo “i sciur dlà cità”, i quali chiedevano consigli per diventare potenti, sempre più potenti per dominare la città. La megera li riceveva tutti, li ascoltava e tutti venivano da lei imbrogliati, ma felici ritornavano alle loro dimore: ognuno di questi credeva di essere stato il solo ad essere stato ricevuto dalla strega. La domanda che uno si pone a questo punto è sempre: cosa diceva la strega a questi signori della città? La risposta era sempre la stessa: “chi vicino o incorporata nella propria casa avesse costruito la torre più alta avrebbe preso il dominio di Pavia e su tutti i pavesi”. Ecco che Pavia si riempì di torri e da allora prende il nome di “città dalle cento torri”.
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