C’è un mondo di ostinazione là fuori e sono libero di accennarvelo grazie all’argomento di questa intervista. C’è un mondo di ostinazioni in cui ancora latita il perbenismo e non è stato catturato e trasformato in altro; molti più duri di me direbbero: «uccidetelo», ma non sono fatto così e credo nel valore del riciclo.C’è un mondo di ostinazione ancora migliore, là fuori, fatto di piccole sacche di resistenza; spesso quelle di cui racconto sono formate da più persone. Questa è formata da un cantautore, Flavio, e il suo io.
Metto in pausa bandcamp.
Spirito Giovane «Stavo ascoltando il tuo disco, BonTon. Coraggioso! Oppure innovatore?»
L’IO «Sono più coraggioso… che poi, il coraggio è anche innovazione; perché nella musica bisogna avere coraggio se vuoi essere innovativo. Un po’ tutte e due quindi!».
S.G. «Dimmi, quanti IO hai messo nel tuo album».
L’IO «Unidici io per undici brani! Io ho sempre suonato in una band rock. Per la prima volta, quando ho iniziato a scrivere per questo progetto, non ho pensato mai a me. Ho inventato undici storie e quindi undici tracce diverse. Poi, in ogni IO dell’album ci sono anche io. Proprio per questo è nato il mio nome da cantautore: ho scritto le musiche, ho registrato quasi tutto da me e ho composto tutto da solo e quindi… inizialmente ho pensato di chiamarmi con il mio nome e cognome, ma non so come è nato poi L’IO. Forse per non chiamarmi Flavio…».
S.G. «Cos’è cambiato diventando L’IO?».
L’IO «Prima, quando suonavo in gruppo, scrivevo anche pensando agli altri elementi del gruppo stesso. Studiavo di più un pezzo cercando di farlo piacere anche al gruppo. Con questo progetto invece non ho dovuto pensare a tutto ciò e mi sono trovato subito a mio agio; avendo tutto in mano mia ho avuto più liberta diciamo artistica. Da quando ho iniziato poi una nuova parte della mia vita, che a sua volta contiene una scelta che non mi è piaciuto fare, l’album è stato quasi una sorta di valvola di sfogo».
S.G. «Secondo te siamo liberi di dire le cose come stanno con la musica?».
L’IO «In questo progetto io vorrei proprio fare questo: essere libero di dire tutto quello che voglio e essere libero di metterci tutta la mia follia musicale. Poi, la mia schiettezza può non piacere, ma è tutto in mano alle persone che mi ascoltano. Prima in gruppo avevo di fronte le regole del mercato e dovevo seguirle; ora no. La musica può dire la verità: ma se tutti quanti, nella società, riuscissero a dire la verità che pensano, staremmo meglio; invece ognuno pensa di più al giudizio degli altri. Infatti il nome dell’album è l’esatto opposto, BonTon. Fin da piccoli ci dicono sempre cosa fare e come fare; ma alla fine, spesso, queste cose non rimangono. Ognuno ha dei paletti nella testa che non può eliminarsi… il titolo dell’album è anche uno sfottò!».
S.G. «Quindi la scelta di un nome d’arte è per abbattere i limiti che ti ha dato questa educazione?».
L’IO «L’IO è come se fosse una maschera. Io avevo anche pensato all’inizio di non farmi vedere in pubblico durante i live, di mascherarmi… però non era corretto: le canzoni che canto sono il mio io, ma anche l’io delle persone che mi ascoltano. Infine, mi piaceva girare con un nome d’arte; un nome che come hai detto bene mi permette di andare oltre me stesso e dire quelle cose che ho scritto».
S.G. «Cos’hai suonato nel tuo album?».
L’IO «A parte le batterie, che sono state suonate Matteo Dainese (ex batterista degli Ulan Bator) e Matteo Dossena, il resto è stato fatto tutto da me: tastiere, basso, chitarre, xilofono…».
S.G. «Come è stato produrre un album, quali ostacoli e quali aiuti hai trovato?».
L’IO «L’ostacolo è all’origine: quando uno scrive inediti non ha mai la fiducia in sé stesso secondo me. Uno deve crederci, perché troverai sempre qualcuno a cui puoi piacere e che può credere quindi in te. Io sono stato fortunato perché ho conosciuto la SeaHorseRecordings; poi i provini vanno bene: far ascoltare i tuoi pezzi prima ad alcune persone e poi mandarle alle case discografiche è secondo me la mossa giusta. La registrazione in realtà sono stati i quindici giorni più belli della mia vita, lo farei sempre».
S.G. «E i live? L’essere cantautore aiuta?».
L’IO «Per ora non ho fatto live; attualmente ho trovato una band romana e spero di fare qualche serata con loro, ma con L’IO non ho mai suonato. Alla fine io sono sempre stato cantautore però; anche quando facevo parte di una band, ero sempre me stesso. Ma adesso è ancora meglio: sono fiero di me, riascolto il disco e mi piace! Vedo sempre del positivo adesso e non vedo l’ora di avere qualche data…».
S.G. «Nel tuo futuro?».L’IO «Nella mia testa non è ancora scritto e suonato, ma ho delle nuove idee sullo stile di L’IO per un secondo album… ma ancora un più cattivo. Questo disco è delicato rispetto a quello che vorrei dire; vorrei fare un disco che sia d’aiuto concreto per la gente contro al pregiudizio».
Chiudo la conversazione skype, dopo un’oretta di discorsi con Flavio; come spesso accade, si inizia con l’intervista e si finisce per condividere esperienze e conoscersi. Così, se prima mi sentivo inizialmente inadatto a condurre una intervista ad un cantautore che nei suoi testi, dovreste averlo capito, non le manda a dire, mi ritrovo paradossalmente in un sentimento d’ostinazione…
Che faccia parte anche io di quelle sacche di resistenza di cui parlavo?
Spengo il cervello e riaccendo bandcamp.
Spirito Giovane
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