Spirito Giovane intervista DAP

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Cercando nuovi modi per esplorare il mondo della musica inedita italiana underground mi imbatto in nuovi soggetti da intervistare, situazioni originali, combinazioni prima d’ora non viste… questo ovviamente “distrae” la mia attenzione dalla ricerca di una evoluzione, ma per buone ragioni: portare ai lettori che sto con calma racimolando per strada le stesse novità che incontro.

E lasciatemi essere lapalissiano: ogni band che ho intervistato aveva qualcosa di nuovo e fresco, anche quando sceglievano l’aggettivo “coraggioso”. Sarà così anche per DAP?

DAP – Vocals, acoustics & Keys

Claudio Toldonato – Electrics

Toto Giornelli – Bass

Antonio Marianella – Drums sticks and cymbals

 

S.G. «Parlaci del tuo ultimo album, Resonances, e di come l’hai inciso»

DAP «La scelta di fare un album credo sia una conseguenza della scelta di scrivere canzoni; vuoi mettere nero su bianco tutti i pezzi che sono nati nella tua testa. Io ho composto tutto nella mia camera, poi però sentivo la necessità di inserire degli strumenti all’interno; inizialmente i pezzi erano strutturati per essere autonomi, voce e chitarra. Al massimo voce e pianoforte. Tuttavia è bello vedere i tuoi pezzi costruiti in “formato band”. Ovviamente non guardando agli altri membri come a dei turnisti! Mi piace costruire un viaggio insieme alle persone che incontro e per le band è uguale. La poliforme line-up di DAP nasce poi anche dalla necessità dei locali, il cui tipo d’accoglienza modifica il numero di componenti che porto sul palco».

 

S.G. «Spiegaci il rapporto con la band in fase di registrazione»

DAP «Io quando scrivo ho qualche idea sull’orchestrazione, questa abitudine l’ho avuta fin da sempre, ma ovviamente lascio massima libertà ai musicisti con cui collaboro – altrimenti ritornerebbe il discorso dei turnisti, no? Se inizio a dare ordini è finita! Ho sicuramente idee in merito alle atmosfere dei pezzi, ma tantissime volte saltano fuori idee dai musicisti a cui non riesco a dire di no. Poi c’è il discorso dell’affezione al brano: quando un musicista collabora al pezzo e poi va a suonarlo sul palco, si rende conto del suo apporto, sa che sta suonando tra le mie parola la sua punteggiatura e i suoi spazi – quindi c’è anche più entusiasmo!».

 

S.G. «La formazione è cambiata spesso?»

DAP «Sì, in realtà la formazione originaria DAP era totalmente diversa da quella di oggi. C’era Davide Episcopo alla batteria, Luigi Lombardi al basso e Emanuele Jorma Gasperi alla chitarra elettrica. È cambiata radicalmente nel tempo, perché le diverse storie di vita ti portano su percorsi che non s’incrociano più. Ho incontrato Toto, il bassista, che è anche il titolare dell’etichetta con cui ho inciso l’album. Poi è arrivato Antonio alla batteria e Claudio alla chitarra elettrica».

 

S.G. «La scelta della lingua è stata di pancia o di testa? O di cuore?»

DAP «È stata di pancia, di cuore e in fondo in fondo anche di testa. Avevo provato a scrivere qualcosa in italiano, i risultati però erano insoddisfacenti e farraginosi. Io ho vissuto in Germania per anni e ho studiato in una scuola internazionale, poi in una europea continuando lo studio dell’inglese. Inoltre i miei interessi musicali sono prettamente verso l’america o la musica anglofona. Un giorno, era l’alba, sono salito sul tetto del palazzo dove vivevo – ho portato su la chitarra e in pochi minuti ho scritto Standback, che è il singolo dell’album. Ho scoperto di avere una libreria di significati maggiore rispetto all’italiano, anche perché conoscevo i giochi linguistici dell’inglese. Certamente l’Italia non è un paese ideale per questa scelta perché, anche se ci fanno fare indigestione di musica anglofona, in realtà è molto più diffusa la musica in italiano. Ma io tiro dritto, vado avanti [sorride, ndr]. Inoltre credo che il momento di serendipità musicale si sovrapponga al testo, cioè l’ascolto ti prende e soltanto dopo vai a leggere il testo e trovi che le parole al suo interno c’entrano con la tua storia».

 

S.G. «Quali sono i temi che t’interessa trattare maggiormente della realtà?»

DAP «Secondo me non c’è mai un iter di selezione e scrittura dei temi. Capitano dei momenti in cui ci sono idee o concetti a cui tengo molto e ci scrivo, ma succede poche volte a me; di solito lascio che sia la mia verità del momento in quel motivo… una sorta di valvola di sfogo delle esperienze che mi hanno colpito, in una maniera molto naturale e senza necessità di provocazione. Nel momento in cui scrivo in realtà significa che già qualcosa in me è stato provocato. Non sono per la scrittura “affinché”, ma per la scrittura “perché”».

 

S.G. «Cosa credi che significhi essere quotidianamente cantautore oggi secondo te?»

DAP «Sangue dalle orecchie, sangue dagli occhi, sangue dal naso, sangue dalla bocca [ride, ndr]. Intanto abbiamo una grandissima responsabilità: abbiamo la responsabilità di riportare l’arte verso qualcosa che elevi, che porti avanti, che aumenti. Ora l’arte è diventata quasi tutta intrattenimento, però rimangono alcuni artisti per i quali la musica è produzione di un senso maggiore… ma sono rimasti pochi, a mio parere».

 

S.G. «Com’è la zona dei locali per quanto hai esperito?»

DAP «È una situazione poco confortante. I posti in cui si faceva musica hanno dovuto chiudere, per via della mamma SIAE e dei costi di gestioni. Io parlo soprattutto della scena romana, in cu i locali vanno avanti per conoscenza e non esiste la figura del direttore artistico, che è sostituita dal gestore del locale. Non c’è proprio alcuna apertura sul nuovo, le cover band spiccano su tutto».

 

DAP_RESONANCES COVER

S.G. «Ho visto che hai viaggiato con altri musicisti, Armaud e Livia Ferri. Com’è l’affiatamento con altri cantautori o musicisti?»

DAP «Talvolta accade questo affiatamento, molto più spesso no. Non aggiungo altro se non che: quando accade è meraviglioso».

 

S.G. «Dopo questo LP, cosa?»

DAP «Sicuramente un altro LP, visto che materiale ne ho a sufficienza per farne almeno due. Stiamo pensando di fare un piccolo EP alla “fast and furious”, veloce veloce. Ho ricevuto anche in regalo un harmonium e mi ci sono divertito sopra, anche costruendo qualche cover: l’idea è di avere quattro o cinque cover particolari, ricercate, adattate e suonate con questo harmonium. Crea tutto un mondo diverso. Vorremmo anche chiamarlo Made in India perché ricorda quelle atmosfere».

 

S.G. «Ultimo ma non ultimo: coraggioso o giovane?»

DAP «Diciamo coraggioso. Giovane non proprio, direi coraggioso [ride, ndr]. Perché ci vuole coraggio e tanta dedizione… beh, anche giovane in un certo senso, perché sono appena stato pubblicato! Ma diamo valore alla fatica e quindi coraggioso».

 

Ringrazio DAP e chiudo la conversazione, pronto per una nuova intervista, sperando di trovare nuovi modi per portare avanti questa rubrica e non trasformarla in puro intrattenimento – perché questi articoli nascondono dietro di loro un po’ della stessa arte delle persone di cui trattano.

spirito giovane

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