Spirito Giovane intervista i “Maleducazione Alcolica”

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Evolvere è un concetto chiave sia di questa rubrica, sia dei gruppi underground. Spesso sento parlare di evoluzione di sound, di crescita personale, di progressione verso qualcosa di migliore o semplicemente diverso. Alcuni parlano di un avvicinamento a sonorità più vicine alle propria idea, altri di semplice evoluzione verso una maggiore maturità. La band Maleducazione Alcolica ha molto a che fare con questo argomento: ne ho parlato con Matteo Mecocci, che nella grossa formazione è uno degli ottoni (trumpet).

 

S.G. «C’è stato un cambiamento tra il primo album e il secondo album?»

Matteo Mecocci «Sicuramente. C’è stata una notevole maturazione musicale, non dovuta dal cambio di line-up – è cambiato solo il batterista e per motivi da lavoro, quindi nulla che riguardasse un’adeguatezza dei membri. Il primo album nasce come una sorta di collezione dei tre anni di esistenza precedente della band, nata nel 2010; questo significa tantissimo tempo impiegato in studio, anche magari non avendo le capacità tecniche di decidere la qualità e un’atmosfera coerente delle tracce. Il secondo album, Resto Fuori, è stato invece creato come un blocco unico anche a livello musicale, una lavorazione più snella e di getto. Ci abbiamo impiegato molto tempo anche qui, l’intero 2014, ma meno rispetto al primo album. E ci siamo affidati ad uno studio di registrazione notevole, Kutso Noise Home, gestito dal cantante dei Kutso, Matteo Gabbianelli».

S.G. «Avete dunque alle spalle due album e un singolo del 2015. Progetti grossi per il 2016?»

Matteo «No, la metodologia di lavoro di questo periodo prevede l’uscita di un ulteriore singolo similmente a quello del 2015 per colmare questo periodo di lavoro su un album che vedrà luce nel 2017. Non volevamo lasciare diciamo un buco tra i due album, vecchio e nuovo, e quindi abbiamo optato per i singoli e continueremo a fare così».

S.G. «Se si può dire che nel primo album era forte la sensazione di opposizione per volontà di cambiare le cose (e correggimi e sbaglio), si può dire che nel secondo album si unisce a ciò anche una critica più generale… una sovracritica all’appunto “Restarne fuori”?»

Matteo «Hai colto tutto, esatto. Parlando principalmente del secondo album, questo nasce come un concept vero e proprio che ha il proprio centro nell’emarginazione: ci sono varie figure che restano fuori dalla società moderna, dagli ingranaggi in cui siamo gettati quotidianamente. La differenza dei contenuti sta anche molto nell’età in cui Marco e Gabriele [cantante e tastierista, ndr] avevano quando hanno scritto il primo CD: diciamo che la maturazione fa parte di ogni ambito, ma la distinzione tematica che hai fatto è giusta. Nel secondo album non solo il titolo, ma anche le varie canzoni raffigurano questa sensazione di doverne o volerne restarne fuori, ma manteniamo dal primo CD l’idea di dover cambiare le cose; nel primo album c’era un “manifesto”, Siamo Liberi, dell’idea di cambiare le cose e della voglia di modificare la società. Nel nuovo album invece tutto ciò è veicolato all’interno del concetto dell’album stesso».

S.G. «Scegli una canzone ad esempio del vostro metodo compositivo e produttivo: seguila dall’inizio alla fine e descrivici attraverso quali cambiamenti o step passa!»

Matteo «Parliamo ad esempio di Polli Beat, un pezzo abbastanza fuori dalle nostre corde; non è un pezzo ska, affatto [ride, ndr]! Tutta la creazione del brano è stata divertente in sala, soprattutto per l’atmosfera “dance” che… era strana da rivivere, perché non credo si sia mai stati noi nove in discoteca o chissà altri locali! Come tutte le canzoni, l’idea è portata quasi sempre dal tastierista e poi la saletta è il luogo di lavoro collaborativo e questo non è cambiato. Quando siamo andati a fare le pre-registrazioni a Roma, Matteo Gabbianelli è stato colpito da questo brano e ha voluto assolutamente mettere la sua voce all’interno – ed è bello come sia nato tutto dalla volontà dell’artista e non da interessi economici! È stato molto naturale, genuino».

Spirito Giovane «Tra l’altro, complimenti per il nome!»

Matteo «Grazie! [Ride, ndr] Il nome è stata una scelta quasi obbligata per le nostra abitudini giovanili. Ora: essendo maturate come persone e appunto come musicisti forse non è ancora del tutto vero… ma ce lo teniamo! Anche perché “maleducazione” richiama la figure del rude boy, che nella cultura giamaicana è colui che ascolta lo ska, mentre “alcolica” richiama la dimensione goliardica e di abbattimento del muro col pubblico… con cui finiamo per rimanere a bere!»

S.G. «Siete una bella masnada di strumenti! Com’è l’organizzazione? E l’atmosfera?»

Matteo «Organizzare il lavoro di nove persone è complicatissimo, ma in questi sei anni di vita abbiamo sviluppato un modo di lavorare molto funzionale in cui tutti e nove hanno la loro possibilità di dire e proporre – poi tutto viene lavorato a gruppi, ognuno dei quali si occupa di un “compito” diverso. A livello di atmosfera, siamo nove amici che si sono conosciuti sotto i palchi dei concerti che andavamo a vedere. Quindi l’atmosfera c’è ed è goliardica come sopra».

S.G. «Quanto è comune l’affermazione “ma siete come la Banda Bardò” e quanto è vera o falsa?»

Matteo «Guarda, partendo da massimi sistemi dico: è tipica solo dell’Italia! Esclusivamente qui gruppi del genere ska o punk sono ghettizzati a “gruppi del primo maggio”. Se vai in Spagna o in altri paesi trovi eventi di piccole città in cui suonano liberamente anche questo genere. È una credenza tutta italiana. Per quanto riguarda la similitudini con altre band, noi facciamo il nostro. Ma, sai: siamo in nove e forse le influenze che mettiamo nei brani sono tantissimi e smentiscono anche l’idea di una similitudine. La grande presenza e fusione di queste influenze genera una sorta di particolarità tutta nostra».

S.G. «Come descriveresti la realtà dei locali italiani per suonare dal vivo?»

Matteo «Malino, malino, malino. Addirittura nel viterbese, zona da dove veniamo, non esiste più un locale dove poter fare musica live. Le poche attività vengono svolte da comitati e organizzazioni esterne a locali che creano aggregazione tramite eventi. Vorrei citare il Tusciaclan, una crew delle nostre zone che ci ha dato una grandissima mano nella distribuzione del primo album (che era autoprodotto) e che spesso continua ad organizzare eventi principalmente punk».

S.G. «Prossime date?»

Matteo «Suoneremo il 27 Febbraio alle Aste Taurine ad Osteria Nuova (Roma) , mentre per il finesettimana pasquale una bella trasferta al nord di 3 date che confermeremo a brevissimo».

Mentre saluto Matteo una delle cose che mi sovviene (e mi sovviene sempre) è che il mondo della musica live in locali dovrebbe evolversi per seguire questa grande esplosione che sta avvenendo. Anche il pubblico dovrebbe evolversi, ma questa è una maturazione più culturale che organizzativa.

Spero che in un futuro gruppi come i Maleducazione Alcolica e, per diamine, gruppi nei quali militerò possano trovare spazio dove farsi sentire e attirare gente quanto basta per sentirsi realizzati.

Alla fine, non è tutto lì l’obiettivo di ogni maturazione? Nel sentirsi realizzati?

Spirito Giovane

 

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